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Tulpa - Perdizioni mortali

Regia di Federico Zampaglione vedi scheda film

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La recensione su Tulpa - Perdizioni mortali

di ROTOTOM
6 stelle

Tulpa è l’ opera terza di Federico Zampaglione dopo l’irrisolto Nero Bifamigliare (2006) e l’ottimo Shadow (2009). Lasciando perdere il sottotitolo Perdizioni mortali, aggiunto forse a scopo di richiamo donando un appeal sessuale e malsano al film, Tulpa è in realtà un classicissimo giallo all’italiana che pesca in pieno nella tradizione dei maestri Bava, Argento e Fulci riportando in vita i cliché che li hanno resi famosi in tutto il mondo. La sceneggiatura di Zampaglione e Giacomo Gensini sviluppa infatti un soggetto di Dardano Sacchetti, storico sceneggiatore proprio di Lucio Fulci.



Zampaglione è un cinefilo vero, conoscitore di tutto l’horror italiano classico e quello estremo estero a partire dai torture porn fino allo splat pack francese, e in questo film la cultura horror del nostro viene fuori alla grande. Solidale con il regista , recita la compagna di vita Claudia Gerini, sorprendentemente riscritta al ruolo di scream queen  che espone la fragilità della bellezza spogliata dal tempo che passa e  più che il decadimento fa risaltare la maturità artistica che la sorregge per tutto il film. Il paragone più calzante è l’altra coppia horror in voga in questi anni : Rob Zombie (musicista e appassionato d’horror) e l’ex modella e musa Sheri Moon in Zombie.  Entrambe le coppie autrici di film ambiziosi e per motivazioni diverse , irrisolti.



 Cos’è un Tulpa? E’ uno spirito della tradizione buddista , la parte oscura dell’essere umano che può prendere fisicamente carne con la meditazione ma che se lasciato senza controllo diventa demone sanguinario.  Questo verso metà film ce lo spiegano, ma avrà rilevanza solo nel finale risolutivo.



Claudia Gerini è Lisa, una donna in carriera che di notte si spoglia del tallieur e della stronzaggine d’ordinanza per divenire morbida carne in preda a passioni sessuali inconfessabili che soddisfa amoreggiando con sconosciuti nell’esclusivissimo club per annoiati snob, il Tulpa, ficcato come un altroquando infernale nell’anonimo garage di un palazzo e sorvegliato da uno scolpito body builder transgender.
Il Tulpa è diretto da un inquietante padrone di casa, Kiran, a metà tra lo stregone e il santone orientale, interpretato dall’ambiguo attore svizzero Nuot Arquint, già protagonista di Shadow
Luce rossa.  Lisa (e il diavolo?cit.) amoreggia in assoluta e partecipata nudità con sconosciuti/e  che sistematicamente muoiono nelle maniere più orrende, storpiate con crudeltà da un assassino in impermeabile nero, cappellone e guanti di pelle che sembrano ripescati dal guardaroba di Profondo Rosso (1975)  di Argento o ancora prima da Sei donne per l’assassino (1964) di Bava. Omaggi.



E’ proprio l’estetica anni 70 del classico giallo all’italiana con risvolti horror , nonostante il film sia ambientato ai giorni nostri, a farla da padrone.  C’è l’oblio dei sensi, lo spaesamento dovuto all’incomprensibile sequela di morti, un killer da scoprire. E gli omicidi. Estetica della morte orchestrata con gusto per il macabro, ratatuille di modalità bizzarre per fornire il giusto supplizio ai fornicatori.  Il compiacimento si evince dai particolari splatter esibiti senza la pruderie da distribuzione mainstream.



Tulpa è un horror a tutti gli effetti e nulla si fa mancare. O forse si. La meccanica dell’omicidio rimane un po’ fine a se stessa, le scene di delitti sono scandite con regolarità sospetta, automatica, mentre ciò che latita è la plausibilità di una sceneggiatura non completamente compiuta nelle parti recitative che sembrano solo raccordi per arrivare quanto prima alla scena di morte successiva.
L’impianto visivo è di primordine, con il monocromatismo vermiglio del club Tulpa che fa sprofondare i personaggi nel magma dei sensi con una Gerini generosamente partecipe dei congressi carnali. La luce fredda dei neon o degli esterni sempre virati in una fotografia cianotica rendono un’atmosfera inquietante  nella quale i personaggi sembrano annaspare.

Quello che non funziona è tutta la parte in piena luce dell’azienda e del consiglio di amministrazione di cui fa parte Lisa, ovvero la normalità che normalità non è per via dei rapporti esistenti tra colleghi. Ma anche questo è un cliché ormai esaurito , la dicotomia esistente tra mondo diurno scandito da una esacerbazione dei rapporti personali che suggeriscono di volta in volta una possibile vittima o possibile killer , in realtà una falsa pista, e il mondo notturno carnale e libero da costrizioni di forma seppur deviato dalla normalità, è trattata con poca cura e ricerca.
E’ ciò che dovrebbe mandare avanti la storia, ma i dialoghi e la recitazione impacciata di quasi tutti gli attori costretti ad arruffarsi in dialoghi su derivati e azioni buttati lì con la faccia di chi non sa di cosa stia parlando (Michele Placido come tycoon della finanza è irricevibile) sgancia lo spettatore dalla sospensione dell’incredulità.



Zampaglione si conferma quindi un grande creatore di immagini, portatore sano di una cultura cinefila che si esprime visionaria nelle sequenze violente ma crolla parzialmente nel cuore del film: la narrazione, che è un’altra cosa, e la direzione degli attori, nonchè la plausibilità della vicenda che non offre nessuno spunto per comprendere le derive psicologiche dell’assassino replicando le ossessioni altrui (Argento) senza rielaborazione.
Il finale quindi, che in questi film deve essere la punta più alta della storia poiché dovrebbe riportare tutti gli indizi e le motivazioni in un unico atto catartico, si rivela deludente, tirato via a finire qualcosa che nelle intenzioni aveva potenzialità ma che all’atto della messa in scena ha subito forse l’inesperienza, soprattutto in fase di scrittura, di Zampaglione stesso.



Tulpa risulta un film molto ambizioso ma discontinuo nella realizzazione, zoppicante , alternando momenti buoni ad cadute di tono evidenti. Organizzare una scena di omicidio è forse facile per chi si è nutrito di Bava e Argento per anni. Tenere alta la tensione nel racconto è invece un’altra cosa.
Ultima annotazione per le musiche originali, composte da Zampaglione stesso, molto buone e evocative di sensazioni mistico/orientali, mentre è molto fastidioso il doppiaggio italiano sulla recitazione in inglese che collide con le parti effettivamente girate direttamente in italiano e ridoppiate per fornire la continuità del suono. Una scelta più radicale avrebbe, almeno da questo punto di vista , aiutato un po’ il film.

E’ in ogni caso un film coraggioso e un tentativo di riportare il genere, quello di cui eravamo maestri , al cospetto del pubblico. L’augurio è che la visibilità di Zampaglione e la sua corsia preferenziale nel mondo distribuzione possa fare da apripista per altri talenti, esistenti, che invece non vengono presi in considerazione e sono costretti a vendere all’estero i loro prodotti. Perché così, da solo il buon Federico Zampaglione, non basta. Sufficiente, appena appena, per l'impegno. 

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