Regia di Federico Zampaglione vedi scheda film
Dopo un esordio ambizioso ma non troppo riuscito con una commedia noir ironica ma zoppicante (Nero bifamiliare), quel Federico Zampaglione cantante è tornato dopo non molto sul luogo del delitto (è proprio il caso di dirlo) con Shadow, bell’horror in stile Eli Roth che ci aveva aperto il cuore su una effettiva predisposizione del musicista verso un genere spesso snobbato da certa critica o comunque non tenuto da conto come meriterebbe.
L’opera terza, Tulpa, purtroppo, anche a guardarla con la più volonterosa predisposizione, è una debacle quasi totale.
Cosa significa “tulpa”? >Da Wikipedia: “Tulpa definisce un’entità incorporea creata attraverso particolari metodi meditativi sviluppati dai monaci (tibetani), in particolare dai grandi lama tantrici. Secondo tali credenze l’essere, che vive nel piano astrale, può essere visualizzato sotto molteplici aspetti, soprattutto quello animale, da altri monaci raccolti in meditazione”.
Chiaro no? Come chiara è la spiegazione che uno strafatto barista (è forse lo stesso attore che interpretava il folle assassino pelato nel bosco di Shadow? A me pare di si) di un club di scambi sessuali nascosto nei sotterranei di un garage, fornisce alla nostra protagonista, rampante manager di borsa dinamica e ispirata al business di giorno, più zoccola e passionaria di notte durante le sue ambigue frequentazioni sessuali miste. (Ma Vi assicuro che se con la mente tornate agli anni ’80, alla splendida e conturbante Kathleen Turner, al genio perverso di Ken Russell e più in generale a China Blue, siete davvero clamorosamente fuori strada).
Quando tutti, uno dopo l’altro i suoi occasionali partner finiscono uccisi barbaramente, la bionda manager si rende conto che forse sta rischiando pure lei la sua incolumità.
Detto ciò, tulpa o non tulpa, il film è una lunga e ripetitiva sequenza di omicidi sadici e violenti, girati pure con un occhio di riguardo se non un omaggio all’horror italiano di Argento. La prima scena del massacro è pure girata bene e ricorda molto (ma da lontano) certe sequenze da antologia di Profondo rosso. Ma per il resto è francamente difficile salvare qualcosa: dialoghi agghiaccianti, posticci e qualunquisti ambientati in un contesto lavorativo surreale e di cartapesta, talvolta recitati in italiano mentre la scena successiva risulta in inglese (e fin qui nulla di male), ma doppiati malissimo e spesso addirittura clamorosamente fuori sincrono; una vicenda che viene confezionata con tematiche anche nobili ma si traduce in uno stile gretto e superficiale degno dell’ennesimo sequel di “Stotto il vestito niente”, dove anche un’attrice lodevole o spesso davvero brava come Claudia Gerini soccombe come e peggio delle vittime di questa carneficina senza costrutto.
Chi è l’assassino? Non ve lo dico naturalmente, così se vi interessa vi tocca sorbirvi tutta 'sta sequela di spappolamenti., e magari augurare un po' di pubblico ad un film italiano seppur bruttarello, ma comunque pur sempre meritevole di giocarsi le sue carte e i suoi favori su un pubblico di affezionati. Certo è che, sulla falsariga dell’ultimo e peggior Argento per scoprire di chi si tratta, basta matematicamente calcolare chi resta in gioco dopo la mattanza, dividere per due ed avere un pizzico di fortuna. Sconsolante. E lo sostengo sinceramente dispiaciuto.
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