Regia di Alessandro Gassman vedi scheda film
Da molti anni in Italia il romeno Roman vive (male) per cercare di assicurare al figlio Nicu un domani migliore. Il ragazzo non si diverte a far sapere in giro le proprie origini, e infatti dissimula con tutti, ma in fondo è suo malgrado legato allo stesso milieu del babbo: spacciatori, piccoli criminali, balordi, spesso di etnie diverse ma con una lingua comune, la violenza. Dura affrancarsi, specie se ci si affida ai cattivi maestri. Gassmann (scegliamo volutamente il cognome con la doppia “n”, come è all’anagrafe, perché nobile è la decisione di Alessandro di ristabilirlo) evidenzia la natura teatrale del testo, adattato per lo schermo dallo stesso regista-attore, soprattutto nella centralità dei personaggi, spesso protagonisti di autentiche performance recitative. In particolare lui, Roman/Alessandro, evidenzia una fisicità imponente, magnetica ma anche respingente quando tracima nell’eccesso, nella prepotenza del gesto e delle parole. Esteticamente ricercato, grazie alla fotografia contrastata e in bianco e nero di Federico Schlatter, senz’altro coraggiosa, Razzabastarda (come una canzone del Califfo) paga pegno all’enfasi dell’autore protagonista e al determinismo della storia, che ammanta di una certa prevedibilità lo sviluppo narrativo e la parabola dei personaggi, specie i due principali. Molto interessante il cast, con facce credibili e tutte di frontiera, tra le quali spicca una ritrovata Nadia Rinaldi.
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