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RazzaBastarda

Regia di Alessandro Gassman vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su RazzaBastarda

di alan smithee
6 stelle

Una terrazza grande e fatiscente protetta da un muretto che a sua volta riproduce fedelmente lo scempio architettonico di una edilizia popolare senza criteri estetici plausibili o più realisticamente completamente assenti: La cinepresa che sorvola questa skyline inizialmente in miniatura e poi quella reale, ancora più inquietante e resa ancor più opprimente da una fotografia in bianco e nero che non conosce compromessi di tonalità intermedie: o il nero più profondo o il bianco più abbagliante.
Sopra questa terrazza Cucciolo, consigliato dal suo "diavolo tentatore" detto "il talebano", si lascia irretire dai sogni di cambiamento, dall'ebbrezza di una libertà che vince il senso di vertigine umanamente comprensibile e comune ad ogni insignificante piccolo uomo: aspettative di cambiamento promesse dal suo compare e rese invitanti dalla sua abile eloquenza, dalla capacità dello spacciatore di rendere facile e invitante ciò che in effetti proprio non lo è.
La ricerca di una fuga e la conquista di una libertà derivano dalla necessità del giovane Cucciolo - che si vergogna anche che i suoi amici conoscano le per nulla lontane origini est-europee paterne -, di fuggire dalle grinfie protettive ed opprimenti di un genitore romeno spacciatore di nome Roman (Gassman appunto). Un gigante rissoso e attaccabrighe, analfabeta e ignorante, devoto alla Madonna ma logorato da una vita di solitudine ed abbandono, un'esistenza che per l'uomo è giustificata o resa possibile solo dalla presenza del figlio, al quale desidera con tutte le sue forze riservare un futuro diverso dal suo, da sempre sciagurato e violento.
E' un esordio molto interessante nella regia quello di Alessandro Gassman con questo film, che è proprio nella direzione degli attori e nell'impostazione del racconto a convincere maggiormente: un'opera drammatica e tragica, epopea della sconfitta inesorabile ed inevitabile della classe più debole, quella che finisce angheriata da strozzini e dai loro potenti scagnozzi in malafede, da avvocati corrotti e da falsi amici che ti vendono come Giuda con Gesù Cristo. Una parabola discendente quasi verghiana verso gli inferi della disperazione, che ricorda anche certe tragedie italiane della povertà con Anna Magnani, dove sulla classe più debole si addensano tutte le più nefaste sciagure e dove il fondo non ha mai fine.
Un'opera che risplende per interpretazioni di alcuni attori poco conosciuti ma qui grandissimi ed efficaci come Sergio Meogrossi nella parte del Talebano, Manrico Gammarota nel ruolo del socio strafatto di Roman, e una sorprendente inedita Nadia Rinaldi nel ruolo di una madre disperata che non ha più paura di nulla.
Quello che meno convince in questo positivo ed impegnato esordio è la tendenza del Gassman attore, forse inevitabilmente costretto da circostante superiori legate all'illustre nome di famiglia, a strafare e a risultare sin troppo colorito e sopra le righe nel delineare il suo certo non facile personaggio, diviso tra scellerata delinquenza e brutalità e un'amorevole goffa cura ed apprensione per il proprio figlio unico ed intoccabile: un burbero intrattabile, violento e reso cattivo dall'indigenza e dall'arte di doversi sempre arrangiare, tra i ferri arrugginiti della sua officina in via di demolizione, in un contesto suburbano da incubo metropolitano senza redenzione né possibilità di fuga che invece è uno sfondo plausibile e perfettamente riuscito.

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