Regia di Stefano Liberti, Andrea Segre vedi scheda film
La necessità di un controcampo: questo rivendica Mare chiuso. Di fronte alle pseudo verità dette in mantra automatici dalle Tv, la voce di un piccolo documentario. Che si oppone alle dichiarazioni dei Maroni di turno e affronta, vis à vis, le conseguenze degli accordi bilaterali tra Italia e Libia. Ovvero: le imbarcazioni di migranti intercettate in acque internazionali nel Mediterraneo dovevano, fino alla condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, essere ricondotte in territorio libico. Dove gli uomini erano accolti da abusi e torture. Nessuna questione, cenno di comprensione: riportati ai carnefici da nuovi carnefici d’occasione. Italiani, dipendenti dello Stato. Mentre lo Stato abbracciava (tentando di edulcorarne la figura mediata) il dittatore Gheddafi. Il cinema di Andrea Segre (accompagnato dal giornalista Stefano Liberti) continua pervicacemente a trattare l’immigrazione, rifiutandosi a riflessioni teoriche o populiste, ma cibandosi di una concreta dimensione umana. Interviste frontali, video dell’attraversamento, riprese del processo concorrono a restituire una verità negata e, infine, riconosciuta dalle istituzioni europee. Gli si conceda qualche lirismo, una struttura opinabile, mutuata a tratti da certa Tv (la deriva narrativa alla Carramba che sorpresa!), l’estetizzazione di certi quadri. Risibili nei, eccessi d’amore di un’opera militante, di un controcanto necessario.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta