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Mare chiuso

Regia di Stefano Liberti, Andrea Segre vedi scheda film

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La recensione su Mare chiuso

di OGM
8 stelle

Semere Kahsay alla fine ce l’ha fatta. È riuscito ad ottenere il visto, ha lasciato il campo profughi di Choucha, in Tunisia, ed è arrivato in Italia, dove da due anni e mezzo lo aspettavano la moglie Tsige e la figlia Naher. La donna era al nono mese di gravidanza quando, il 2 aprile 2009,  da una spiaggia libica si era imbarcata su una delle cosiddette “carrette del mare”. Allora i soldi non bastavano per pagare il viaggio anche al marito. Il quale, dopo alcuni giorni, ha appreso tramite una telefonata internazionale l’avvenuta nascita della sua primogenita.   Di lì a poco,  anche Semere ha potuto finalmente partire; ma la sorte ha deciso che per lui e per i suoi compagni di traversata le cose dovessero andare diversamente. Nel frattempo tra Roma e Tripoli era infatti nata l’amicizia. E, con essa, la politica dei respingimenti in mare. Semere e gli altri occupanti del barcone, intercettato in acque internazionali dalla motonave Orione, un’unità della nostra marina militare, sono stati fatti salire a bordo, e quindi trattati con rudezza, per poi essere subito rispediti indietro. Riconsegnati a Gheddafi ed ai suoi boia, per citare il termine usato, il 22 giugno 2011, a Strasburgo,  dall’avvocato Anton Giulio Lana, davanti ai giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Imputato, in questo processo, era il governo Berlusconi. La parte lesa era formata da una ventina di persone, tra somali ed eritrei, che, dopo il loro forzato rientro in Libia, sono stati imprigionati, percossi, torturati. All’appello mancavano le decine di loro connazionali che sono stati uccisi, dai loro aguzzini oppure dal mare, tentando una seconda volta la fuga verso la salvezza ed un futuro migliore. Il documentario di Stefano Liberti e Andrea Segre ci racconta questa tragica vicenda facendo parlare direttamente i suoi protagonisti: quei pochi sopravvissuti che al momento della realizzazione dell’inchiesta si trovavano divisi in due gruppi, sulle opposte rive del Mediterraneo. Alcuni ancora accampati sotto le tende dell’UNHCR, altri ricoverati presso i centri di accoglienza di Crotone e di San Giorgio Lucano. I resti di un drammatico flusso migratorio che, non potendo essere impedito a priori, assicurando condizioni di vita accettabili nei luoghi di provenienza, è stato traumaticamente bloccato quando era già in corso, i sacrifici erano stati compiuti, e le speranze si erano accese. All’umiliazione del rifiuto e alla frustrazione di un sogno infranto si è aggiunto l’orrore del ritorno all’inferno. Questo film, attraverso una serie di testimonianze personali, ci dimostra come le  cosiddette masse di disperati - che ci vengono proposte dalle cronache quotidiane, in una maniera che ci mette paura - siano le casuali somme di tanti casi individuali: uomini e donne alla ricerca di un posto dove poter stare senza essere perseguitati dall’odio razziale, aggrediti dalla violenza della guerra, minacciati dalla miseria di una terra povera di cibo e di acqua. Con le loro parole, semplici e sincere, ci convincono che per loro non esiste davvero altra scelta, la migrazione in quella forma “clandestina” e disumana verso le nostre coste è l’unica via che possano immaginare per sottrarsi ad un destino di immane sofferenza. L’alternativa, entro l’orizzonte del loro mondo martoriato, è un’idea inconcepibile; e coincide, precisamente, con la soluzione che spetta ad altri – forse proprio a noi - inventare. 

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