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I bambini di Cold Rock

Regia di Pascal Laugier vedi scheda film

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La recensione su I bambini di Cold Rock

di OGM
8 stelle

Quattro anni dopo Martyrs, Pascal Laugier ritorna con una storia tanto inquietante quanto improbabile,  ma splendidamente confezionata, forte di una sceneggiatura che riesce a tenere costantemente lo spettatore col fiato sospeso, rinviando all’ultimo momento l’incontro con la parte più debole della trama. La rivelazione finale è l’anello debole della catena, giustamente relegato all’estremità di una serrata successione di eventi che appaiono invariabilmente oscuri, vivendo ognuno all’ombra dell’altro. La vicenda risulta viziata da un onnipresente paradosso, che si sovrappone al tragico mistero riguardante la cittadina di Cold Rock, sede di miniere chiuse e di dilagante miseria, nonché teatro della sparizione di numerosi bambini, apparentemente inghiottiti dal nulla. Jessica Biel è la magistrale interprete di un personaggio che, in un’avventura solitaria e funesta, si trova ad attraversare i diversi livelli della verità, dalla leggenda del Tall Man (la locale versione del famigerato uomo nero, tradizionale rapitore di minori) alla dura realtà del linciaggio sociale nei confronti del presunto mostro. Superstizione, paura ed arretratezza culturale si articolano in un racconto ambiguo, che, a suon di false piste, avvalora, strada facendo, le tesi più diverse, dall’azione isolata di un maniaco alla congiura di paese, incrociandosi con l’ipotesi di un’allucinazione, individuale o collettiva che sia. In questo thriller, la tensione è causata dall’ossessione dell’inspiegabilità, dell’inafferrabilità di un fenomeno di portata straordinariamente grande, smisurata rispetto alle proporzioni ridotte dell’ambiente in cui si manifesta. Una presenza malefica ed invincibile decide di prendere di mira un villaggio desolato, con poche case e molto degrado, che sembra un obiettivo davvero anomalo per un piano criminale così ben congegnato. La sceneggiatura utilizza al meglio questo contrasto per alimentare una suspense che punta, contemporaneamente, in più direzioni, in preda ad un disorientamento a cui contribuisce non poco l’inquietante singolarità del luogo, rozzo ma perbenista, privo di futuro ed orfano di un passato di cui sopravvivono soltanto caverne polverose e costruzioni in rovina. Mentre il tempo si è fermato, qualcosa di enorme ed infinitamente sinistro ribolle, stranamente, in un calderone freddo, sopra un fuoco irrimediabilmente spento, cancellato perfino dalla memoria.  Il conseguente effetto straniante riesce a conferire originalità ad un tema ampiamente sfruttato, ormai entrato nella cronaca e quindi praticamente dismesso dal genere horror. Nell’epoca delle grandi inchieste sui traffici internazionali di merce umana e delle piccole indagini romanzate dei noti format televisivi, un giallo basato su una moderna riedizione della strage degli innocenti doveva inventarsi qualcosa di inedito, che ripristinasse, in quell’ambito, la dimensione sfuggente della fantasia, rivendicando la sua letteraria indipendenza dalla esigenze della logica e dai canoni del realismo. L’espediente escogitato da Pascal Laugier serve perfettamente allo scopo, benché costringa il racconto ad inerpicarsi su un sentiero accidentato, trasformando il suo volo conclusivo nella classica arrampicata sugli specchi. La via d’uscita è faticosa, ma ciò che la precede è un percorso ad ostacoli impeccabilmente costruito, attraversato, al contempo, con minuziosa lentezza e con trascinante dinamismo.

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