Regia di Pascal Laugier vedi scheda film
I Bambini di Cold Rock, titolo internazionale The Tall Man. Leggenda dell’uomo alto, variante dell’uomo nero che rapisce i bambini nel paese minerario, in disfacimento, di Cold Rock.
Primo film americano per Pascal Laugier, redattore di “Mad Movies” rivista di settore francese da cui deriva direttamente lo Splat Pack del nouveau horreur francese . Movimento che ha fatto già emigrare in USA, per meriti acquisiti sul campo, Alexandre Aja, Alexandre Bustillo & Julien Maury attratti dalle sirene monetarie dell’immobile produzione fantastica americana, divenuto ormai un caso di morte assistita. Assistita da registi-autori che di idee e coraggio al contrario ne hanno da vendere, Laugier è l’autore del supersplatter Martyrs (2008) e ancora prima di Saint Ange (2004). Uno sguardo feroce sulla società contemporanea come tutto il nuovo horror francese , politico nel tema e restituito all’estremo visivo, quello che fa digrignare i denti e socchiudere le palpebre.
I bambini di Cold Rock, è diverso. Non è un horror prima di tutto. E’ un thriller profondamente calato nella realtà dell’America nascosta, quella dei dimenticati e della crisi economica. Cold Rock è una roccia traforata dagli scavi minerari e abbandonata ai suoi fantasmi con il suo terreno svuotato e riempito di disperazione, solo a pochi chilometri dalla civiltà. In questo contesto di degrado si aggiunge la sciagura di una figura mitica, l’Uomo Alto, che rapisce i bambini della comunità.
Imbarbarimento e disperazione si mischiano in una stori di dolore e redenzione, nella quale nulla è ciò che sembra a partire dalle immagini aeree – quasi kubrickiane – della valle ridente immersa nel verde, un paradiso di prati e boschi rigogliosi , quando lo sguardo si adagia a terra –sotto terra - si scopre una realtà ben diversa. Baracche e rifiuti, rottami d’auto e rottami d’esseri umani si guardano sospettosi l’un l’altro bloccati, appena sotto la strada che porta ovunque lontano da lì, in un limbo di rassegnazione senza tempo.
Laugier si allontana dall’estremo orrore dei suoi film francesi e forma un racconto molto compatto che richiama alcune delle istanze dell’horror-thriller passato. Fortissima è l’influenza de Non si sevizia un paperino (1973) di Lucio Fulci, benché manchi del tutto l’aspetto deviato della religione. Il carro sul quale si muove l’uomo nero sembra il modello gemello di un fortunato horror on the road di qualche tempo fa, Jeepers Creepers (2001). L’ambientazione suburbana delle fabbriche dismesse la cui fatiscenza postindustriale riqualifica gli ambienti in postmoderne camere di tortura è invece ripresa dall’iconografia del torture porn.
Al degrado sociale e alla cupezza del tema Laugier impone però la sua classe. I bambini di Cold Rock è un bel film, proprio nel senso estetico del termine. Girato molto bene, elegante e avvolgente nei movimenti di macchina , suadente e rettile nel presentare i fatti e smentirli in colpi di scena mai sguaiati. L’ottima fotografia evocativa dello stato d’animo dei personaggi confeziona tutto in un cupo sudario di dolore. I toni freddi delle ambientazioni postindustriale fanno da contraltare al calore della vita domestica, mentre avanzando nella storia il grigio cenere disgrega la realtà in una verità più grande di ogni comprensione.
Laugier è trattenuto, consapevole della mancanza di momenti di climax mantiene la tensione costante per poi risolvere con un colpo di scena verso il basso che stempera la storia invece di esaltarla. Scelta artistica coraggiosa e ammirevole che fa scivolare il terrore metafisico in una storia di triste realtà.
Questa compattezza però sacrifica il pathos del tema trattato. Il cartello iniziale è da brividi. L’idea che negli USA ogni anno spariscano senza lasciare traccia più di mille bambini è fortissima. Ciò che rappresenta il terrore sacro per ogni genitore viene stemperato in rassegnata accettazione così da sacrificare qualcosa in termini di immedesimazione. L’emozione viene ridimensionata a un disagio intellettuale, forse dovuta all’eleganza della messa in scena che non osa visivamente, preferendo l’atmosfera allo shock. La repulsione viscerale di Martyrs qui non esiste anche se non è necessariamente un male. Ottimi tutti gli attori, su tutte Jessica Biel - qui anche produttrice - la cui identità resta sospesa in una zona morta dislocante ogni certezza. All’aridità della carne pone rimedio il dedalo sotterraneo gravido di (ri) nascite verso un nuovo futuro. Di più non si può dire. Pascal Laugier si conferma in ogni caso ottimo autore– sua anche la sceneggiatura – oltre che regista di grande talento già capace di rinnovare il genere in patria.
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