Regia di Mikkel Munch-Fals vedi scheda film
Smukke mennesker, ossia la “bella gente” danese. Un titolo ironico per un film che, contrariamente al suo omonimo italiano, non vuole provocarci mettendo a nudo i crudeli paradossi dell’ipocrisia sociale. Questo film vuole disorientarci. Confondendo le idee circa la distinzione tra vita pubblica e vita privata, fino a spingerci a chiederci quale delle due sia quella vera, quella attraverso la quale noi ci definiamo, nel rapporto con gli altri e con noi stessi. In un certo senso, il mondo, come credevamo di conoscerlo, è messo sottosopra: una triste disciplina è quella praticata nell’intimità domestica dove gli individui sono vittime del dolore, della noia, della solitudine, dell’incomprensione, mentre l’abbandono all’istinto è lo sfogo che tutti cercano fuori casa, in mezzo a persone sconosciute. Pornografia, esibizionismo, prostituzione sono i rimedi a cui ricorrono la giovane Anna, che ha subito l’asportazione chirurgica di un seno, Anders, un contabile di mezz’età in piena crisi coniugale, suo figlio Jonas, un ragazzo insofferente e ribelle, e Ingeborg, una ex segretaria d’azienda che ha perso il marito, colpito da un malore fatale, il giorno in cui è andata in pensione. Tutti cercano la propria identità nel territorio del proibito, dove ci si aspetta che la mancanza di inibizioni consenta di arrivare più facilmente alla verità. Nel confronto con gli estranei e mediante esperienze nuove l’io può cogliere, di sé, un’immagine diversa dal solito, inquadrata da angolazioni inedite, rese accessibili dall’assenza di un osservatore giudicante. Fuori dalle convenzioni tutto è lecito, nulla è inopportuno e tutto può, al contrario, risultare istruttivo. Se si sospende il criterio del bene e del male, la libertà di esplorazione diviene totale. Così il pudore cede il passo alla curiosità, che è la sua versione più sincera, ed infonde il costruttivo coraggio di sperimentare, anche a costo di lasciarsi sporcare dallo squallore che, in varia misura, caratterizza tutte le situazioni che toccano il fondo. Da queste, i quattro personaggi della storia ritornano sani e salvi, come e meglio di prima: quelli femminili sono stai più metodici e prudenti, quelli maschili più diretti e spavaldi, ma tutti si sono, in qualche modo, rigenerati. L’esemplificazione di una teoria che fa rabbrividire i benpensanti: esistono errori che non lasciano il segno, e peccati che, incredibilmente, risultano salvifici. Scoprirci, per un attimo, deboli, e magari un po’ abbrutiti, ci rende modesti, ci insegna ad accettarci e ci avvicina al prossimo. L’importante è che quella momentanea incursione nel lato in ombra della nostra personalità sia condiviso in toto con un’altra persona, che faccia da specchio alla nostra caduta. Precipitare è un fatto normale, se si è circondati dal vuoto; e la regia dell’esordiente Mikkel Munch-Fals fa in modo che tutto, intorno ai personaggi, appaia tristemente immerso nella desolazione, in cui è impossibile allacciare contatti che non siano superficiali e casuali. In tali circostanze estreme, anche questi ultimi, però, possono servire a sollevare l’individuo dalla disperazione di non essere guardato da nessuno, ed essere quindi costretto a guardarsi da solo, rivedendo sempre e soltanto i propri guai. Un incontro fortuito, benché sbagliato, può bastare a rimediare all’incompletezza. Per cogliere questa occasione occorre però uscire allo scoperto: il caos, quel fecondo brodo primordiale che comprende anche il vizio e la perdizione, appartiene solo all’ambiente esterno. Ci possiamo buttare (in tutte le accezioni del termine) solo quando siamo fuori dalle nostre stanze. Mescolarci al mondo significa sposarne il disordine: il nostro volto autentico è quello che mostriamo quando decidiamo di partecipare al gioco. È l’immagine di noi che andiamo alla ricerca di noi stessi, provando e riprovando, senza aver paura. Ricordando che la verità che si dice è quella che offende. Ma la verità che si fa è invece quella che imbarazza.
La morale di Smukke mennesker è del tutto surreale, ugualmente estranea all’etica e alla psicologia: è una riflessione che si affida interamente ad una visione euristica dell’esistenza, come percorso di crescita che procede per tentativi e trae le proprie conclusioni sempre a posteriori. L’applicazione al sesso è un espediente che rende il messaggio particolarmente spiazzante, ma ne evidenzia l’indipendenza da ogni preconcetto di natura culturale. In principio siamo uomini. È questa la questione da approfondire, prima di pensare al resto.
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