Regia di Ariel Vromen vedi scheda film
L’uomo che uccideva a sangue freddo.
L’uomo di ghiaccio. L’uomo del ghiaccio.
Calata in una perenne penombra, si dipana la storia vera del sicario polacco in terra d’America, che nella sua lunga carriera, durata circa 4 lustri, ha fatto più vittime di tutti gli altri suoi (a quanto pare meno illustri) colleghi, una stima intorno ai 100 e più cadaveri…
Come se la penombra fosse il raffinato risultato di una ben oculata scelta da parte del regista, ad esplicare attraverso le immagini -dai toni lividi, dai colori desaturati di una città, New York, immersa nel grigiore e nel freddo di (non)rapporti umani- la zona d’ombra in cui si muovono con naturalezza il nostro protagonista e la malavita locale, la quale in principio lo assolda per ‘licenziarlo’ successivamente, ‘costringendolo’ a mettersi in proprio, al fianco di un altro uomo, uguale (ma non identico) a lui.
Persone che paiono votate a condurre l’esistenza lontano dalla luce del sole, dalla cristallina chiarezza delle cose, perennemente avvolte e protette dal pesante manto di una fitta ambiguità che impedisce a chi guarda di ‘vedere’.
E di individuare con esattezza le loro fattezze.
Volti e corpi come tanti, che si confondono, si camuffano e si perdono tra tanti volti e corpi simili.
E che suscitano più di una perplessità in noi che guardiamo, nel momento in cui siamo chiamati a riconoscere (all’interno della narrazione) chi essi siano. Addirittura, nell’affermare con sicurezza quali noti attori si nascondano dietro l’abile operazione di ‘(in)visibile mimetismo’.
Sul grande schermo di una sala al buio, i titoli di testa ci informano del cast e quelli di coda ne confermano la presenza e ne arricchiscono la lista, ma durante la visione veniamo messi in difficoltà fino a provare una certa riserva, mossa dal dubbio, nel menzionare lì, al momento, nomi-facce (più o meno quotate) del parterre hollywoodiano.
Ed è, forse, per minare alle nostre certezze, farci brancolare nella semioscurità per tutto il tempo (o quasi) mettendo alla prova la veridicità di quello che guardiamo, come a sposare il nostro sguardo di spettatori consapevoli con quello dell’ignara perfetta famigliola felice del nostro uomo nell’ombra, che la sceneggiatura proprio facile da seguire non è.
Per quanto sia capace di catalizzare appieno l’attenzione -per mezzo di una buona direzione, di un ritmo incalzante e di un funzionale apporto sonoro a sostenere egregiamente le sequenze che si dipanano come da una matassa informe-, non predilige una narrazione fluida, piuttosto presenta degli intoppi, delle grinze e buchi neri a frustrare quel voler conoscere per bene i fatti e capire fino in fondo.
Ma saranno mai davvero comprensibili le motivazioni (ma non gli impulsi) di un uomo che ha fatto della morte il suo stile di vita?
Certo, è arduo condensare in nemmeno 2 ore la vita assassina per mestiere e intimo bisogno di un sicario-killer dalla ‘doppia personalità’.
Sul lavoro è senza scrupoli, affidabile, veloce, pulito il giusto ed efficiente ma non privo di etica,
nel privato, un marito devoto e padre amorevole.
Per tutto il tempo una penombra soffocante rende fallace la vista.
E la percezione di coloro che osserviamo risulta profondamente alterata.
Ma il film, poi, tende a diradare le ombre (o così pare), a gettare una luce meno fioca sui volti che riempiono le inquadrature; fa uscire allo scoperto la loro anima dannata attraverso un raggio di sole che filtra dalla finestra, per esempio, o un taglio radicale di capelli.
Quasi sempre in prossimità dell’estrema dipartita.
Naturalmente, non è da porre in secondo piano l’inquietante performance del talentuoso enigmatico Michael Shannon. Imperturbabilità, follia e smarrimento insieme, ad incarnare una fisicità e personalità disturbanti, difficili da farsi scorrere addosso e lasciar che scivolino via, a ingiallire e sbiadire fino a dileguarsi del tutto, nell’oblìo di un universo cinematografico senza confini.
Eppure, il nostro uomo di ghiaccio pare sciogliersi in scatti di ira sempre più frequenti quanto terrificanti.
Perde il controllo, e la freddezza che lo contraddistingue prende fuoco.
Ha compreso che la posta in gioco ha un prezzo troppo alto.
E la paura e lo sconforto, e il dolore, uniti alla disillusa consapevolezza di essere solo -e nessun dio a trarlo in salvo, giammai- gli si leggono in faccia.
Una tangibile, autentica traccia di (ritrovata) umanità.
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