Regia di Ariel Vromen vedi scheda film
Con quella faccia un po' così, diciamo, da pazzo, Michael Shannon sembra destinato a ricoprire continuamente ruoli abnormi, difficili, disturbanti. Fu così in Revolutionary Road, che gli diede la fama, e così ha continuato a essere fino a questo The iceman, film arrivato nella sale italiane con tre anni di ritardo (una svista dei distributori e degli esercenti o un calcolo dovuto al tema trattato?) che racconta le vicende di Richard Kuklinski, l'uomo di origini polacche noto come The iceman non solo per la freddezza con cui eseguiva le sue azioni omicide, ma anche per via di quella attitudine tutta particolare di fare a pezzi i cadaveri e surgelarli per sviare le indagini sulla data di morte. In azione tra la seconda metà degli anni '60 e la prima metà degli '80, Kuklinski lasciò sulla propria scia oltre 100 cadaveri, gran parte dei quali confezionati su misura per rispondere alle direttive del suo capo, il malavitoso Roy Demeo (Liotta). Ma ciò che più sgomenta di questo serial killer che fece dell'omicidio una palestra per l'impiego delle tecniche più svariate (dal coltello al cianuro, passando obbligatoriamente per la pistola e lo strangolamento) era la premura con cui cercava di offrire a sua moglie (Ryder) e alle sue figlie una sembianza di normalità, espressione estrema della doppiezza della sua personalità. Interpretato in sottorecitazione da un Michael Shannon titanico in tutti i sensi, il film del regista israeliano Ariel Vromen risente di qualche squilibrio proprio nell'analisi della psicopatologia del protagonista, preferendo imboccare la più sicura strada del gangster movie.
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