Regia di Ariel Vromen vedi scheda film
Il regista israeliano Ariel Vernom mette in scena la storia di un killer dalla doppia personalità, Richard Kuklinski, morbido con moglie e figlie, letale quando si tratta di uccidere per conto della mala locale. Film scritto con attenzione, ma ricco di difetti dovuti alla natura intrinseca del biopic (eccesso di protagonismo del personaggio principale, blanda trattazione degli aspetti e dei personaggi di contorno), in cui però la componente psicologica del personaggio, e soprattutto la solo accennata matrice edipica della sua natura, potevano essere approfondite meglio. D’altronde il meglio del film sta proprio nell’estremo, dicotomico modo di agire del personaggio, portato bene sullo schermo dall’attore Michael Shannon ed associato con il giusto tocco ad un altro concetto basilare per la connotazione di Kuklinski, ossia la sua lotta contro il destino, che secondo il fratello Joey è segnato ed ineluttabile, ma secondo i progetti di Ritchie è ancora tutto da definire.
Nelle pieghe del personaggio, lungo la linea di confine tra gentilezza e violenza, tra paradiso domestico e inferno metropolitano, risiedono le corde più emozionanti del film, che arriva quasi a compiacersi nel vedere Ritchie andare vicino allo straripamento in violenze familiari o arrancare in pubblici tentennamenti. The iceman significa “uomo di ghiaccio”, ma si riferisce anche ad un originale e macabro metodo di trattare i cadaveri nella seconda parte di “carriera”: entrambi aspetti fondanti della figura imperscrutabile di Kuklinski, vero input che ha spinto gli autori a portare su pellicola questa storia.
Difficile definire l’appartenenza del film ad un genere specifico: troppo agiografico per essere un gangster movie, troppe morti efferate per parlare di film drammatico. Forse “biopic” è l’unica etichetta che si può realmente affibbiare al film. E la strutturazione modaiola della vicenda, completamente trattata in flashback partendo dal viso in primissimo piano di Kuklinski che ritorna poi nell’intimo finale, è indicativa di questa precisa scelta.
Menzione doverosa per il cast (per buona parte reso irriconoscibile da costumi e trucco), quasi tutto affidabile fin dalle premesse: oltre a Shannon nel ruolo principale, ci sono gli specialisti Robert Davi e Ray Liotta, i malavitosi più pericolosi, Chris Evans e David Schwimmer, su cui il trucco ha dovuto lavorare parecchio per rendere Captain America e Ross Geller (della mitica serie Friends) sufficientemente credibili. La moglie di Kuklinski, Deb, è interpretata in maniera intima e sofferta, sempre con un filo di voce, da un’eternamente bella e giovane Winona Ryder.
Arrivato da noi due anni dopo la “prima” nelle sale americane , dopo averlo visto sembra obbligatorio sottolineare che se in Italia non fosse uscito affatto non se ne sarebbe sentita la mancanza.
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