Regia di Ron Howard vedi scheda film
Così come Lauda lo spiega a Hunt, qualcuno dovrebbe spiegare a Ron Howard che la velocità non fa la qualità. Vorrà, il buon Richie Cunningham, emulare l'ipercinesi delle auto da corsa della Formula 1 degli anni '70, quella pericolosissima e quasi bestiale contesa che poteva più facilmente che oggi portare alla morte. Ma volere non è potere, e il risultato di Rush è un grossolano resoconto del confronto di due personaggi spogliati dei loro aspetti reali e caricati solo nelle parti più peculiari (l'ascendenza sul gentil sesso e l'emozione della guida, per quanto riguarda James Hunt e l'imbolsito Chris Hemsworth; la razionalità calma e raramente irruenta di Niki Lauda alias Daniel Bruhl, pronto a squittire secondo copione), con la conseguenza di un formato Hollywood da lasciare stravolti a fine visione. Le pretese adrenaliniche falliscono quando pretendono di farsi carico di tutti i drammi personali e umani dei due protagonisti, nemiciamici che si odiano e si amano e fanno i bambini per il buon sano sentimento sportivo. La Formula 1 di allora era altra storia, agli uomini poteva solo piacere l'ebbrezza della corsa e del rischio, perché il carattere nostalgico e più patinato vuole questo secondo copione (con buona pace dei nostalgici). I soldi a convenienza fioccavano per salire di livello e poi aumentavano sempre più, ma non era questo l'importante, l'importante era battersi a vicenda. Ma...a costo della morte? Questo è il grave dilemma del finale, che lascerà interdetto chi per allora è già da un'ora e mezza almeno ad aspettare che un qualche guizzo (registico? tematico? di sceneggiatura?) venga fuori da questa accozzaglia di luoghi comuni che rielabora la verità storica travestendosi da filologo (totale adesione alla realtà degli eventi di cronaca, delle condizioni metereologiche, dei punti in classifica) ma poi rivelandosi incapace di gestire qualsiasi tipo di tempo cinematografico. Il conflitto fra Lauda e Hunt diventa celebre tutt'ad un tratto, le gare si susseguono senza lasciare traccia per tutta la prima parte del film (puoi guardare fedelmente alla realtà, ma cosa stai guardando, Richie?), e le piccole stupidaggini invitano alle risa nei momenti meno opportuni (esilarante Hunt che gioca con le macchinine telecomandate, quando non fa sesso o non si lascia con la moglie; rivoltante quando i due passano dall'Italia, e Lauda becca due italiani idioti che faranno sorridere i più, ma che si circondano della solita zona agricola italica che tanto cartolinescamente piace agli americani; per non parlare di Pierfrancesco Favino, che ci mette una leggermente inutile faccia baffuta). Alla fine viene voglia di non ammetterlo, ma questo è esemplare stravolgimento dell'umanità dei personaggi, delle persone Lauda e Hunt ancor più che dei piloti, ed è lo spiattellamento volgare perché piatto e arcinoto di due leggende che il film farà pure rivivere ma senza dare più brividi di un qualunque documentario, o tentando di darli con risultati vergognosi. E le scelte dei colori, che virano verso un espressionismo "antico" e contestualizzante, non bastano a dire buona una regia che sembra su commissione e tenta maldestramente di prendersi le sue libertà. Rush è il film che piace a molti definire capolavoro con l'ennesima etichetta di grande eccezione in un panorama sconsolante come il cinema americano di oggi. Ma non lascia segni, né scie, né tracce sull'asfalto.
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