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Rush

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rush

di ethan
8 stelle

Ron Howard, a otto anni di distanza da 'Cinderella Man', torna ad un soggetto di ambientazione sportiva: con 'Rush' si passa dall'America ai tempi della Grande Depressione e alle battaglie a suon di pugni sul ring degli anni '30 al mondo della Formula Uno dei '70 e più precisamente alla strenua lotta per il casco iridato del 1976, che vide l'aspra contesa tra l'austriaco Niki Lauda (Daniel Bruhl), fresco campione del Mondo nell'annata precedente con la scuderia di Maranello e l'inglese James Hunt 'The Shunt' (lo schianto, soprannome non so se dovuto al numero di incidenti fatti o all'epiteto con cui veniva apostrofato dalle sue numerose conquiste femminili, dato che la leggenda - e la scheda - narra siano più di 5.000) al volante di una McLaren.
Il film è tratto da uno script buono e dotato di dialoghi frizzanti - ma anche di qualche piccola lacuna - scritto da Peter Morgan, al quale Howard ha saputo dare un ritmo indiavolato e incessante, con splendide riprese - girate con toni adrenalici - delle sequenze puramente sportive, alternate a momenti di duello puramente verbale tra i due contendenti, la cui sfida oltre che sul piano sportivo è vista sul piano umano. Lauda e Hunt, dai caratteri antitetici - calcolatore, meticoloso ed introverso il primo, spaccone, spregiudicato e amante della bella vita il secondo - ma dotati entrambi di grande talento nel guidare e di una reciproca anche se non confessata stima l'uno dell'altro, rappresentano due maniere opposte, due concezioni dell'esistenza, una basata sul risparmio e sul dosaggio delle proprie energie, finalizzate tutte sull'obiettivo che ci si è prefissato, l'altra sulla dissipazione e sul vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo.
E' questo dualismo tra persone agli antipodi - tema già affrontato da Howard in 'Frost/Nixon', dove a scontrarsi erano il giornalista ed intervistatore britannico ed il Presidente americano del Watergate - la cosa migliore del film, assieme alla minuziosa ricostruzione di un'epoca eroica dell'Automobilismo, dove l'elettronica era ancora in là da venire, così come la sicurezza, ed i piloti erano visti come dei pazzi che rischiavano la vita ad ogni corsa ma le gare si vincevano sorpassando i rivali e non con una sosta più veloce ai box.
Non si può ovviamente non sottolineare le prove di Daniel Bruhl e Chris Hemsworth nei panni rispettivamente di Lauda e Hunt: tutti e due, al di là di rassomiglianze più o meno accentuate, incarnano l'animo dei due sportivi, umbratile e nervoso, con accenti più marcati di sofferenza - vista anche la terribile prova che il destino gli diede in sorte, ovvero l'inferno nell'abitacolo della sua Ferrari al Nurburgring, dal quale uscì vivo ma irrimediabilmente segnato nel corpo e nell'animo - ed insofferenza per il mondo circostante per l'attore tedesco e, al contrario, una prova più solare ed esuberante per l'australiano. Una nota di merito va anche a Alexandra Maria Lara, nel ruolo della appartata ma passionale moglie di Lauda - unico personaggio ben delineato oltre i due piloti: l'attrice dà il meglio di sé nelle scene in cui Niki lotta tra la vita e la morte in ospedale.
Se vogliamo trovare un piccolo difetto nella pellicola, a mio avviso sta nel fatto che la sceneggiatura, concentrando tutto sul dualismo tra Lauda e Hunt, ha fatto un po' terra bruciata intorno a loro: ne fuoriesce così un'opera dove tutti gli altri caratteri - eccetto l'anzidetta moglie del campione austriaco - risultano quasi delle figurine appena accennate. Mi sarebbe piaciuta una maggiore descrizione di quel sottobosco fatto di ingegneri, meccanici, proprietari di scuderie e naturalmente di altri piloti. 
Mentre il Regazzoni di Pierfrancesco Favino ha un minutaggio risicatissimo, il Drake viene addirittura liquidato con un'unica inquadratura.
Voto: 7/8.

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