Regia di Ron Howard vedi scheda film
La velocità di “Rush” non è solo quella supersonica riferita ai bolidi della formula uno ma appartiene anche al divenire della storia che fa sembrare lontano anni luce l’epoca in cui Niki Lauda e James Hunt si sfidavano per conquistare il titolo mondiale. A far la differenza con la versione odierna del circuito automobilistico era l’importanza della guida, non ancora subordinata alla perfezione tecnologica ma soprattutto l’incidenza dell’errore umano, svincolato dalle misure di sicurezza che successivamente avrebbero garantito una drastica diminuzione delle morti in pista. Questo per dire che la scelta di Ron Howard di privilegiare il confronto dei caratteri e l’umanità dei piloti rispetto al mondo che gli stava attorno sia dovuto in larga parte dalla constatazione che il fascino delle gare automobilistiche doveva quasi tutto a chi stringeva il volante e sfidva la morte pur di conquistare l’ambito riconoscimento. E’ con questa consapevolezza, messa sulle labbra di James Hunt ad inizio film, che il regista sulla scia della cronaca e dei fatti cronaca dei fatti che portarono al fatidico gran premio del Giappone del 1976 in cui Lauda ancora convalescente per l’incidente del nurbungring decise di sfidare il rivale nell'ultimo appuntamento della stagione, preferisce soffermarsi sul privato dei duellanti ripercorrendo le tappe che anno dopo anno scandirono le fasi salienti del loro rapporto: dal primo incontro nei campionati di formula Kart all’approdo nella formula maggiore dove riuscirono a conquistarsi un posto al sole alla guida di Ferrari e MacClaren, Howard ne sottolinea la diversità temperamentale – Lauda razionale ed ombroso, Hunt estroverso ed istrionico – ma anche i punti di contatto – entrambi furono sconfessati dalle rispettive famiglie che non capivano la loro passione per le quattro ruote – avendo cura di inserire il materiale autobiografico in un contesto di credibilità cronologica e sportiva. Girato con stile classico e contaminato da pulsioni di cinema blockbuster, evidente nelle sequenze sportive realizzate con immersione sensoriale, montaggio frenetico ed andamento sincopato, “Rush” può contare su un’ emotività che gli deriva dalla particolarità di una vicenda che non lascia indifferenti. Quello che non convince è però il modo con cui il regista decide di metterla in scena. Costretto per forza di cosa a semplificare, Howard prosciuga le psicologie dei personaggi raggrumandole in una serie di tic e atteggiamenti di segno opposto, enfatizzati dal pathos dello sfondo in cui si muovono ed agiscono i protagonisti. Cristallizzato su questo schema, con brevi schizzi dei rispettivi entourage lavorativi e famigliari a completare il quadro (ad Enzo Ferrari seduto a bordo pista è riservato il tempo di un fotogramma) il film procede sicuro ma scontato, accumulando un overdose di scene madri che Howard appesantisce con tempi dilatati ed eccessi acustici. Prodotto insieme a Brian Blazer (“Il codice Da Vinci”, “Angeli e Demoni”) “Rush” testimonia la definitiva trasformazione di un regista che ha rinunciato al cinema personale ed intimo degli anni 80 (“Splash”, “Cocoon”) per abbracciarne un altro di più facile presa e remunerazione. Opzione legittima per un regista ormai affermato, ma penalizzante in termini di idee ed inventiva.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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