Regia di Robert Redford vedi scheda film
The Company you keep è un thriller politico moderatamente godibile, ma i cui colpi di coda (peraltro gestiti in maniera non impeccabile) non gli conferiscono un peso specifico particolare.
Un film che sicuramente potrebbe destare interesse (e finanche appassionare) chi ha memoria di quegli anni turbolenti (l’altra faccia della medaglia del più noto Vietnam) anche perché quegli anni, fatti i debiti mutamenti, assomigliano molto agli anni pesanti del nostro italico passato.
Potrà allora capitare di riconoscersi in uno dei molteplici punti di vista rappresentati dai diversi personaggi del film (chi si è pentito, chi vede ancora vivi quei valori, chi ha dei rimorsi, chi rifarebbe tutto allo stesso modo, chi sente terribilmente il peso delle azioni di un tempo sulla vita di oggi, chi non rifarebbe mai l'attivista perchè completamente cambiato è il suo modo di pensare; fefy) e l’aspetto più interessante è proprio quello di gettare uno sguardo sul proprio passato per tornare a riflettere non solo sui “frutti” di una precisa stagione politica, ma su quelli della propria vita; per tirare le somme di quello che rimane di sé stessi a distanza di molti anni, per capire quanto sia cambiato oggi (perché di acqua sotto i ponti ne è passata)… ovvero se magari, per certi aspetti, non sia cambiato niente.
Intento civico-politico che, nondimeno, anche per effetto di diverse screziature narrative (non mancano ellissi ed opacità; cali di ritmo, connotazioni dei protagonisti che appaino – LaBeouf a parte - tutti un po’ fuori fase) segnano (unitamente alla stessa operazione nostalgia in atto) un solco non facilmente valicabile da parte, appunto, di una fetta importante di pubblico più giovane.
Il film appare stanco, più che altro rivolto a quanti siano giunti alla resa dei conti della propria vita.
Senza avere, per tale ragione, demeriti significativi, sia chiaro, anzi; Redford si immerge nel passato recente del suo Paese per ritrovarne il respiro, la spinta vitale al cambiamento, l’utopia come motore dell’azione e della lotta (chinaski); scavando più a fondo, l’eredità di cui fare tesoro (anche per coloro che, appunto di un‘altra generazione, si possono sentire estranei e distanti dalla narrazione) è la lezione di un padre che si rivolge a suo figlio/a (in senso lato) per far capire che, per quanto sia stato certamente un male portare alle estreme conseguenze la condivisone di un ideale, non c’è dubbio che almeno la fiducia nella bontà di un ideale vale mille volte la facile fuga (profondamente attuale) dall’impegno civile. Un torpore civico (vuole testimoniare il ruolo di LaBeouf) che fortunatamente non l’intera ultima (nostra) generazione è disposto ancora ad accettare.
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