Regia di Robert Redford vedi scheda film
I tempi cambiano e lo stesso vale anche per i film così che questo “The company you keep”, che pur essendo ambientato ai giorni nostri rievoca le tensioni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, non trova la robustezza e la sintesi del messaggio sperata offrendo un discreto spettacolo d’insieme, ma scivolando sulle più scontate bucce di banana.
Con le sue ricerche da giornalista, l’impetuoso Ben Shepard (Shia Labeouf) svela la vera identità dell’avvocato Jim Grant (Robert Redford) che negli anni settanta era un pacifista radicale accusato di aver commesso un omicidio.
Grant è costretto a lasciare i suoi (pochi) affetti e fuggire, ma non senza avere un obiettivo concreto che gli permetta di riunirsi alla piccola figlia e sistemare il contenzioso con la giustizia.
Da una sceneggiatura di Lem Dobbs, che conferisce l’ossatura della trama, si sviluppa un thriller con più parti inserite durante le riprese grazie ad una collaborazione di gruppo tra Redford, i suoi collaboratori e gli attori sul set; fatto sta che proprio nella storia si trovano parecchie magagne, non so se maggiormente attribuibili allo script o a quanto pensato “on stage”, ma in ogni caso queste sono facilmente identificabili.
Intanto Redford poteva smussare qualche angolo al suo personaggio (un po’ datato come interprete per alcune scene in fuga), poi non mancano alcuni errori macroscopici (esemplare in ciò l’età, se collegata ai fatti, della figlia interpretata da Brit Marling) e nell’accumulo di personaggi ci sono alcune scelte scarsamente condivisibili (soprattutto nella parte finale).
In alcuni casi si tratta di particolari, in altri di peccati veniali, in ogni caso contribuiscono a mitigare il possibile entusiasmo verso un’opera che nel suo riportarci indietro nel tempo per le tematiche di ribellione al sistema (oggi ci sono, ma di tutt’altra levatura) e nel suo proporre una vera e propria parata di “old” star (lista praticamente sterminata senza scordarsi dei più giovani) fa leva su sentimenti e partecipazione.
Affiorano poi interrogativi etici e l’importanza delle scelte di vita, con gli effetti su di noi e sugli altri, il fatto che non ci siano “buoni” o “cattivi” è un altro aspetto interessante, lo spettacolo ha momenti promettenti (come il confronto in carcere tra i personaggi di Shia Labeouf e un’intensa Susan Sarandon), ma appunto non è solido ne continuo.
Un vero peccato, perché di film così se ne incontrano pochissimi, da Redford mi sarei aspettato più sostanza, invece si tratta di una delle sue regie meno convincenti nonostante le succulente premesse della vigilia e comunque un discreto impatto complessivo.
Sciupone.
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