Regia di Robert Redford vedi scheda film
Mi lega a questo film non solo un giudizio tecnico del tutto positivo, ma anche un vincolo d'affetto costruito su vari punti che cercherò di spiegare. Chi mi conosce sa quanto io ami un cinema d'attori e qui troviamo un cast davvero eccezionale, composto da un gruppo di star hollywoodiane, note e meno note, ma tutte impegnate a dare ognuna il meglio di sè, in un concerto di volti e talenti che non può lasciare indifferente lo spettatore. Poi la sceneggiatura, dettagliata e assai curata, che segue ogni personaggio sviluppandone adeguatamente i caratteri e consegnandoci l'impressione che chi ha scritto questa storia dolente e malinconica lo abbia fatto nutrendo un sereno affetto nei confronti dei protagonisti. E dopo il cast e lo script (quest'ultimo felice adattamento del romanzo di Neil Gordon), esiste un terzo motivo per amare questo film, un elemento che teoricamente potrebbe rappresentare un handicap (e per qualcuno probabilmente infatti lo sarà): la lentezza della narrazione. Per quanto mi riguarda l'andamento (mederatamente) lento del film ne costituisce uno dei pregi principali. E' bene chiarire subito, infatti, che il ritmo scelto da Redford nel raccontare questa bella storia è quello di un film che sa magistralmente prendersi i tempi necessari a comunicare allo spettatore lo stato di forte disagio vissuto dal protagonista. Si tratta infatti di un uomo che vive costantemente il malessere di chi non ha mai fatto veramente i conti con un passato ingombrante, lontano anni luce, ma che ora si ripresenta, ineludibile, costringendo un brillante avvocato ad un rendez-vous con sè stesso che implica terribili problemi di coscienza. E per sviluppare tutta l'inquietudine del protagonista nonchè la difficoltà di scelte e decisioni impegnative con cui egli dovrà confrontarsi, sono necessari tempi di narrazione adeguatamente distesi, evitando l'urgenza di un registro action. E infatti questo thriller civile di azione ce ne riserva davvero poca, optando dunque per una soluzione intelligente, quella di privilegiare la descrizione dei meccanismi, emotivi e di pensiero, che animano le mosse del protagonista. Con l'effetto di coinvolgere lo spettatore, calandolo in pieno nell'esistenza di questi uomini-ombra costretti a lottare coi fantasmi del proprio passato. Ed è una lotta condotta da queste persone secondo criteri non certo uniformi e condivisi. Ma prima di approfondire è opportuno chiarire di quale "passato" si sta parlando. Negli anni 60/70, in America, in concomitanza col dissenso verso l'impegno USA nel Vietnam, nacquero movimenti pacifisti radicali, tra cui i "Weathermen Underground". Ne facevano parte cittadini organizzati in una rete clandestina che attuava forme di protesta che comprendevano anche attentati in luoghi simbolici considerati obiettivi sensibili. E fatalmente ci scappò anche qualche morto. E' evidente a questo punto che quando un movimento, ancorchè mosso da ideali pacifisti, produce effetti mortali (per quanto accidentali e sporadici) va chiamato col nome di "terrorismo". Qui mi ero preparato l'apertura di una lunga parentesi che preferisco però evitare perchè ci porterebbe troppo lontano. In sostanza avrebbe dovuto essere una disàmina sulle forme di lotta che, nel corso della Storia, hanno implicato atti di violenza o di sabotaggio, dalle Black Panthers ai terroristi baschi. In sintesi, comunque, quello che mi preme evidenziare è che tra questi "Weathermen" e nostri brigatisti rossi non esiste alcun riferimento comune: altro Paese, altro "sentire", altra cultura.Tornando al nostro film, il tema centrale è dunque l'elaborazione di un passato da "guastatori" da parte di persone che oggi hanno intrapreso altre strade, le più svariate. Tra costoro abbiamo chi, dispersi i furori giovanili ed investito da problemi famigliari, si trova ad aver preso le distanze da ciò che era stato o comunque a non ritenere più credibili quelle estreme forme di lotta in un un mutato contesto sociopolitico. Ma c'è anche chi si ostina a vivere come non fosse cambiato nulla, in nome di una coerenza granitica ad ideali che si ritengono perseguibili ad ogni costo, anche a prezzo di muoversi come fantasmi, rendendosi inafferrabili da parte della Legge. Quella Legge che non ha mai smesso di cercare i responsabili di omicidi compiuti in ambito di atti terroristici. Anche dopo 40 anni, dunque, la polizia sta cercando coloro che determinarono la morte di una guardia giurata nel corso di un'azione di lotta. E l'indiziato numero uno è proprio Robert Redford, che nel frattempo ha radicalmente cambiato vita, diventando un brillante avvocato nonchè padre vedovo di una graziosa bambina. Quando egli apprende di essere oggetto di una feroce caccia all'uomo, realizza che dovrà impostare la propria vita sullo stile dell'uomo in fuga e che suo primo impegno sarà quello di non lasciare tracce sul suo cammino, naturalmente ciò dopo aver affidato la piccola figlia ad un'altra persona. Questa è la partenza del film, quel che ne segue è una serie di fatti ed incontri troppo lunga per poterla qui riassumere in poche righe. Diciamo in sintesi che nel proseguo della storia facciamo la conoscenza di due ex compagne di lotta di Redford, due donne che rivestirono un ruolo importante nel passato militante dell'uomo, ora anch'esse nel mirino delle autorità investigative. Poi conosciamo un detective-mastino dell'FBI, animato da una furia più ossessiva che determinata. Poi ancora un giovane cronista che conduce una ricerca della verità dei fatti, ispirato ad uno spirito di giornalismo investigativo puro ed incontaminato. Vale davvero la pena di una visione questo film, oltre che per una vicenda appassionante, anche perchè -e questo lo sapevamo già- Redford è uno di quei pochi registi rimasti a portare avanti un'idea di cinema classico, un cinema a misura d'uomo, che indaga sui sentimenti di uomini e donne, sui loro errori e debolezze. E non dimentichiamo che si tratta di quell'uomo che, in nome del suo supremo amore per il cinema, ha posto le basi di un festival (il "Sundance") che è da anni un faro nel buio per chiunque creda in una settima arte distante da ideali meramente commerciali. Va inoltre sottolineato che alla riuscita del film ha contribuito un cast davvero formidabile, con attori che gareggiano in talento e bravura, quasi fossero galvanizzati dalla direzione di Redford. Io che amo osservare le performance di attori vituosi, qui ho vissuto momenti di godimento assoluto di fronte a certi dialoghi da pelle d'oca. Su tutti devo collocare una Susan Sarandon da brivido, che mi ha procurato un momento di vera commozione durante un emozionante colloquio in carcere con il giovane giornalista. Molto brava anche una ritrovata Julie Christie. E che dire di un attore notissimo come Shia Labeouf che io non ho mai amato e che invece qui ho trovato di una bravura sensazionale? Mi spiace non potermi soffermare nei dettagli sul resto di un cast davvero esaltante. Sam Elliott, Brendan Gleeson, Terrence Howard, Richard Jenkins, Anna Kendrick, Stanley Tucci, Nick Nolte (dio mio che bravo!!), Chris Cooper (lo adoro!!): tutti da standing ovation. Concludendo. Un tuffo benefico in un tipo di cinema che oggi nessuno pratica più. Non ho detto che sia un capolavoro. Ma un film che si fa amare, questo sì. E io l'ho amato. Tanto e teneramente.
Voto: 10
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