Regia di Robert Redford vedi scheda film
Campione del cinema impegnato, promotore infaticabile del cinema giovane legato al Sundance festival, irriducibile attivista politico, da regista Robert Redford non è mai riuscito a tenere il passo con la sua vocazione politica. Non fa eccezione questo La regola del silenzio, che racconta la vicenda di un pacifista (lo stesso Redford) che negli anni settanta venne accusato dell'omicidio di una guardia giurata durante una rapina. L'uomo si è rifatto una vita, è un affermato avvocato rimasto vedovo con una figlia adolescente al seguito, ma quando, dopo più di trent'anni, la sua identità viene svelata da un giovane reporter di Albany, è costretto alla fuga. Con una serie di mosse astute e coraggiose, l'uomo cerca di far emergere la verità, ben diversa dalle colpe di cui è imputato.
Nel migliore dei casi, il film tratto dal romanzo di Neil Gordon è il parente povero de Il fuggitivo, con una spruzzata di generico impegno che sembra messo lì per ricordare i bei tempi andati e con tanto di passerella di star democratiche (Sarandon, Christie, Nolte, Elliott) che non va oltre il cammeo. Per essere un film basato sull'inseguimento - come gran parte del cinema hollywoodiano - non contiene neppure una scena capace di tenere alta la tensione. Per di più, il protagonista è poco credibile come genitore, e lo svolgersi del racconto è fiacco e prevedibile, in linea con un cinema dall'impianto molto classico, apprezzabilissimo per gli intenti e l'invito alla riflessione, ma incapace di autentici sussulti. Notevole l'accompagnamento della colonna sonora firmata da Cliff Martinez.
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