Regia di Robert Redford vedi scheda film
Robert Redford, attore e regista bello, bravo e quasi sempre impegnato, ha trascorso i quasi cinquant’anni di luminosa carriera con il medesimo aspetto rassicurante di uomo attraente, biondo, di buone maniere. Giunto in forma all’età di settantasei anni ci appare sempre ed inverosimilmente in versione identica a come l'abbiamo conosciuto in pieni anni '70, solo un po' più ed inevitabilmente incartapecorito, ma sostanzialmente lo stesso dei tempi ormai lontani de La mia Africa: buon per lui, intendiamoci: stesso capello biondo polenta, fisico piuttosto in forma, volto vivace seppur segnato da rughe profonde che neanche una luce flou piuttosto indulgente e benevola o un lifting accurato riescono più a contenere.
Spiace a tutti noi, penso, invecchiare: ma a volte ad ostinarsi fino all'accanimento per rimanere sempre quelli di un tempo anche grazie a impalcature e soluzioni posticce, si corre il rischio di divenire la caricatura di se stessi, dei bei tempi del vigore e della naturale giovinezza ormai inesorabilmente scalfitta dal tempo. Meglio forse accettare con un po' di ironia e simpatica "musoneria" la propria vecchiaia come fa il grande Clint Eastwood, nella vita come nei film in cui appare.
Questa eventualità tuttavia non deve neanche aver sfiorato il celebre attore, che non rinuncia ad incoronarsi protagonista della intricata (ma un po’ loffia) vicenda che vede, in seguito all’arresto di una apparentemente normale madre di famiglia ultracinquantenne (Susan Sarandon), riaprirsi un vecchio caso giudiziario rimasto irrisolto di un agguato in banca finito involontariamente nel sangue, organizzato da un gruppo di esponenti di un movimento sovversivo e antimilitarista che si batteva contro lo stanziamento di truppe destinate in Vietnam e si finanziava con rapine, l'ultima delle quali provocò il decesso, seppur accidentale, di una guardia giurata.
Nel film Redford impersona un avvocato, Nick Sloan, padre di una bambina decenne (credibile vero?) che in realtà cela sotto la sua professionale normalità, le generalità di uno dei tre "banditi" della accennata rapina degenerata, quel Jim Grant da tempo irrintracciabile, almeno fino a quando un giovane ambizioso giornalista di una piccola pubblicazione locale (Shia Labeuf) riesce a stanarlo dalla lunga latitanza dietro altra generalità.
Ora Sloan, padre premuroso ed avvocato stimato, dopo trent’anni di vita familiare e professionale ricostruita nella normalità e ordinaria professionalità,è costretto alla fuga, per non farsi condannare ad una pena che in fondo ha già scontato, almeno nei confronti della propria coscienza; per questo dovrà ritrovare l'altra donna che condivise quella sciagurata azione sfociata in una violenza non preventivata, l'unica in grado (in realtà non si chiarisce bene in che modo, come giustamente ha osservato chi mi ha preceduto nella visione e recensione del film) di aiutarlo concretamente. In questa affannosa ricerca l'uomo coinvolgerà vecchi amici, dando modo al film di arricchirsi di un cast maestoso di gran classe.
Tuttavia il film non riesce mai a coinvolgere pienamente, e tutta questa ottima vetrina di talenti sembra un po' una sfilata di vecchie glorie ed attori carismatici senza un copione all'altezza delle rispettive potenzialità di ognuno di loro.
Il cinema di Redford regista, a parte il toccante esordio del 1980, non mi ha mai personalmente convinto o coinvolto molto, e i suoi film mi sono sempre parsi più dei diligenti, impeccabili ed ordinati compiti in classe che opere essenziali, vitali e magari imperfette, ma girate con l'ansia di voler comunicare un messaggio o lasciare nel cuore dello spettatore una emozione indelebile.
Quest'ultimo film non fa che confermare, almeno per me, questa già radicata convinzione su un autore comunque fondamentale nelle sue valide interpretazioni anni '70 e '80 per tanti ottimi registi impegnati nel campo civile e politico di quei decenni.
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