Regia di Scott Walker vedi scheda film
“Il cacciatore di donne” (The Frozen Ground, 2013) è il primo lungometraggio del regista neozelandese Scott Walker dopo aver girato il cortometraggio “Ordan’s Forest” (2005). Proveniente dal mondo pubblicitario (ha fondato un’agenzia di proprietà lavorando con i marchi più famosi) si è trasferito negli Usa dove ha realizzato questo primo film.
“Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Matteo, 10;16); quindi prima dei brevissimi titoli iniziali si dice che il film è ‘tratto da una storia vera’ e ci riconduce all’anno 1983.
L’inizio è molto impegnativo con tali frasi (forse troppo) e il regista ci porta nel bel mezzo dello stato americano dell’Alaska dove tra nevi e boschi chiusi e fortemente impervi viene trovata il corpo di una donna (età tra i 20 e i 30 anni). Ecco che i due poliziotti non sanno cosa dire e cosa fare ma danno l’impegno gravoso di cercare l’assassinio (serial killer) a Jack Halcombe che pensa di finire la sua carriera a due mesi dalla pensione in tranquillità estrema. Il suo nucleo famigliare (la moglie Allie e la loro bambina) è stretto a se stesso ma la voglia di fare giustizia è nella sua indole (dopo tutto quello fatto per annI). La cosa non è affatto semplice e le prove per accerchiare qualcuno o qualcosa non arrivano mai. E la prostituta Cindy Paulson riuscita a scappare al suo perfido stupratore (e molte volte assassinio) Robert Hansen si ritrova nella città di Anchorage pensando di essere oramai fuori dalle grinfie del suo violentare ma in un bordello ecco che l’uomo non crede ai suoi occhi di ritrovarsi di fronte la forma della ragazza appena diciottenne. Tutto in un ‘trasudata’ parte finale (non molto ansiogena per la verità) portano Jack e Cindy a smascherare il terribile killer in un confronto diretto, una perquisizione a tappeto, un volo innocente, una telefonata liberatoria, una cartina implacabile e una confessione senza rimedi (‘dovevo ucciderla quella puttana’) e con uno sguardo arrovellato dall’incubo. Le scritte finali prima dei titoli ricordano tutte le vittime trovate e non trovate più quelle riuscite a salvarsi con la condanna ad Hansen e la vita di quelli che hanno risolto il groviglio di massacri durato tredici anni (1970-1983).
Il film appare una thriller poco convinto e adeguato al caso che tratta dove la realtà non è commisurata nella sceneggiatura stessa. Si passa da un inizio abbastanza secco e senza sconti ad una parte centrale non certo sviluppata e lo sfondo sociale ritratto con confronti, ritrovi e vari personaggi non danno la giusta forza al susseguirsi incalzante delle indagini. E il volto del serial e lì già di fronte a noi poco dopo l’inizio e quindi tutto l’escursus delle foto, delle carte e dei luoghi non hanno il sentore di una costruzione a scacchiera. Forse l’impostazione avrebbe potuto essere più documentaristica girando il film sugli episodi e inerenti il racconto di Cindy. I vari pensieri del poliziotto Jack dentro casa, il suo ufficio con la ‘solita’ inquadratura di tutto il puzzle di ragazze, articoli, luoghi e piantine non lasciano un’ansia convinta allo spettatore che (rilassato o quasi) aspetta l’incontro finale tra i due (appunto Jack e Robert con l’entrata prevedibile di Cindy). Quindi tutto abbastanza scontato e prevedibile con i vari personaggi tagliati senza molta ‘finezza’ per un doveroso omaggio alle vittime: la compassione viene allontanata o quasi nonostante le buone intenzioni e le facce degli interpreti che mettono tutto l’impegno per non far cadere il prodotto finale in un facile ‘rosario’ di nomi da ricordare e in un mesto rigurgito di trasposizione macabra con didascalie di frasi fatte tra buoni ambienti (in famiglia), racconti risaputi (la sorella di Jack), riunioni d’ufficio (con discorsi già sentiti) e interrogatori di facile presa (come abboccare all’amo con uno ‘scherzo’ del destino). La figura di Jack (un Nicolas Cage anche convinto ma forse non pienamente risoluto dentro la sua divisa) appare lineare e fin troppo in avanti con una mimica che riesce a trattenersi quando dovrebbe dare ciò che è il fuori onda della terribile vicenda: in ogni caso vince sull’asciuttezza tipica del recitare dell’attore di Long Beach. Mentre l’interpretazione di John Cusack (il serial killer Robert Hansen) è di disarmante bravura nella sua meschinità e cadenza degli sguardi (rischiando, non certo per colpa sua, molto quando lo scritto non regge la struttura narrativa e la cronaca degli eventi raccontati). Inoltre si deve dire che il personaggio di Cindy (una Vanessa Hudgens di grande intensità) è quello che regge il fulcro del film (soprattutto nella seconda parte) e dà appiglio a sia a Jack che (di contro balzo) a Robert di unire le scene e i vari punti non ben amalgamati della pellicola.
La fotografia e gli ambienti danno al film quel languore fulgido tipico al ‘genere’ e riescono ad avere un giusto riscontro visivo; la musica dello scozzese Lorne Baffe ha una tonalità evasiva all’argomento affrontato (d’altronde si ha la ‘netta’ sensazione di un qualcosa di ambivalente… faccio un puro thriller cadendo nel ridicolo o attivo un ricordo ragionato cadendo nel lacrimevole fuori-tempo?...) e testimone di avvenimenti già dichiarati. La regia di Scott Walker rimane nel ‘giusto canale’ senza sobbalzi e rimandi originali.
Voto: 6-- (generosamente senza essere negativi).
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