Regia di Hisayasu Sato vedi scheda film
Garantire al genere umano l'estasi eterna: è questo il sogno che Eiji insegue da sempre. Ragazzo occhialuto solitario e geniale, cresciuto senza amici e con il mito di un padre mai conosciuto perché misteriosamente scomparso prima che lui nascesse, scienziato considerato un po' pazzo dalla sua stessa moglie (scienziata anch'essa) perché cocciutamente proteso alla ricerca di una strada per l'immortalità, Eiji si distingue sin da piccolo per la predilezione per le arti matematiche e gli esperimenti chimici, giungendo, alla precocissima età di diciassette anni, a sintetizzare tra le quattro pareti della propria stanza l'analgesico definitivo, in grado, agendo sulle endorfine, di alleviare il dolore fino a trasformarlo in piacere, e di tramutare quindi, a suo dire, la sofferenza in gioia e la tristezza in felicità.
Sicuro di avere tra le mani la soluzione a tutti i mali del mondo, decide di provarla su tre pazienti della madre, tre ragazze ignare che, volontariamente, si sono rese disponibili per il test di un nuovo contraccettivo da lei creato. Aggiunto furtivamente il "MySon" (questo il nome del farmaco) alle flebo loro destinate, le pedina spostandosi in bicicletta e le spia riprendendole con la sua inseparabile videocamera allo scopo di osservare da vicino gli effetti della cura: ma ciò a cui assisterà saranno degenerazioni psichico/sensoriali devastanti e ben distanti dall'utopia che s'era illuso d'aver realizzato.
Girato in digitale nel 1995 da Hisayasu Sato, Naked Blood è un horror sperimentale dai dialoghi scarni ma la tensione crescente, che in meno di 80 minuti riesce a coniugare in maniera singolare e feroce lo splatter con una riflessione sulla solitudine della condizione umana e sul dolore come elemento fondante ed inestirpabile di ogni esperienza di vita.
Il regista mostra con inquietante leggerezza la messa in atto dei piani del piccolo chimico protagonista e studia con straniante freddezza le peculiarità delle tre cavie, una ossessionata dalla cura del corpo e dagli ornamenti di bellezza, un'altra dal cibo e dalla cucina, e l'ultima dai rumori di tutte le piccole creature del pianeta (piante comprese), che sente parlare (ma non comprende) da quando lo shock del primo ciclo mestruale l'ha resa insonne e dotata di un udito ipersensibile; Sato sceglie un passo contemplativo e rassicurante, lasciando al siero il tempo di insinuarsi nei loro organismi fino ad attecchire e generare incontrollabili compulsioni violente, quindi alterna in crescendo allucinazioni autoindotte ad agghiaccianti episodi di autoflagellazione ed autocannibalismo, incursioni nel surreale a morti efferate, mantenendo tuttavia uno stile di regia glaciale e distante, ed accompagnando il tutto a suoni di tastiera (di Kimitake Hiraoka) psichedelici e sinistri.
Sorretto dalla sceneggiatura semplice ma affatto banale di Taketoshi Watari, capace di mescolare cactus e realtà virtuale come di dare un senso di perversa poesia ad uno sgozzamento, Naked Blood è un film estremo in cui il dolore non fa soffrire ma godere, è un mondo di individui soli condannati ad annientarsi da sé, è la società del benessere che si tortura e si divora.
Figlio di un'urgenza comunicativa palese, Naked Blood pecca di qualche incongruenza evidente nelle scene più gore, con falangi ingoiate che miracolosamente ricrescono o ferite di coltello che sprizzano sangue e poi scompaiono: errori senz'altro evitabili, che però non scalfiscono il valore complessivo dell'opera né adombrano l'indubbia efficacia dei trucchi di Yûichi Matsui.
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