Regia di Rob Zombie vedi scheda film
Finchè era rimasto nei limiti (già molti ampi) del cinema di genere, Rob Zombie aveva dimostrato una notevole capacità cinematografica nel rimodellare i materiali dell’horror attraverso la propria estetica, sicuramente derivativa (dal cinema americano anni settanta) ma anche personale, fatta di visioni acide e demoniache, potente nella sua forza disturbante, tra white trash e corpi torturati, in grado di rielaborare il macabro attraverso la psichedelia. Questa stessa estetica sembra essersi persa nell’ultima opera del regista, proprio perché svincolata dai limiti del genere dove si applicava così egregiamente e diventando cifra stilistica, autoriale, fine a se stessa. Le inquadrature di Rob continuano a rimandare al suo immaginario ma sono sterili, cercano di ergersi oltre le possibilità del genere ma finiscono per precipitare in un vuoto artistico senza più viscere e incubi.
Libero di muoversi oltre i territori che conosce così bene, Rob Zombie sembra smarrirsi nella proprie ambizioni, il regista pensa a Kubrick, alle sue geometrie visive, cerca nel passato oscuro degli Stati Uniti puritani le madri delle sue ossessioni demoniache, trova nella musica l’unica e vera e angosciante intuizione della sua pellicola, sia con la canzone dei Lords of Salem, che sembra veramente provenire dalle registrazioni fatte durante un sabba di streghe, sia con Venus in Furs e All Tomorrow’s Parties dei Velvet Underground usate in maniera evocativa e straniante.
C’è poi un’altra grande passione di Rob nelle immagini: il culo della moglie Sheri, che vediamo ripreso da ogni angolazione possibile anche senza nessun aggancio diegetico o narrativo. The Lords of Salem, scivolando in una deriva kitsh (i preti-cadaveri che masturbano i propri falli finti, il corpo da nano deforme di Satana, le croci di neon rosse), scaraventa la bravura del regista in una dimensione filmica senza controllo, è l’apparenza dello stile, la sua riconoscibilità e allo stesso tempo la sua vuotezza a lasciarci interdetti, non sentiamo pulsare il basso ventre a causa del disagio, le immagini non graffiano e stridono contro la nostra scatola cranica, certo, risuona ancora quella musica malefica, ma non c’è discesa, non c’è caduta, le streghe danzano e ballano, invocano e maledicono, ma è una festa privata, dentro una stanza, nella mente di Rob, a ricordo di antichi fasti, roghi brillanti nelle notti oscure, quando l’America ancora bruciava i propri demoni, prima di andarli a cercare altrove.
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