Regia di Rob Zombie vedi scheda film
Tremate tremate, le streghe sono tornate.
Salem è il luogo ove nel 1692 vennero giustiziate 25 persone tra donne uomini e bambini, accusate di stregoneria. Giustiziate in modo orribile dalla follia paranoica dei villici capitanati da giudici allucinati.
Questa è storia. Era solo il 1692 ma sembra già tutta roba di Rob Zombie.
Che da qui riparte, da un evento che ha fissato nell’immaginario di massa la cittadina di Salem come luogo di stregoneria e i suoi empi fatti come archetipi presenti nella letteratura e cinematografia stregonesca.
The Lords of Salem ( Le streghe si Salem) è un film sostanzialmente diverso dalla produzione horror precedente di Zombie. L’allucinato furore delle prime opere e la rilettura in chiave white trash del classico di Carpenter, Halloween lasciano il passo al tentativo di una costruzione più profonda della storia.
In chiave musicale sarebbe un lento e possente giro di basso, inquietante e premonitore di qualcosa di innominabile. Ed è così in effetti. Se la musica ha sempre avuto nell’opera di Zombie un ruolo di grande importanza, in questo film diventa il fulcro su cui gira la storia. La storia gira sul un piatto di un giradischi.
Solco dopo solco, ipnotica e funebre una tetra nenia annuncia la venuta dei Signori di Salem. La Storia dice che la maledizione lanciata dalla strega Margaret Morgan nel momento del supplizio, avrebbe perseguitato i discendenti del pastore Hawthorne (personaggio che prende il nome dallo scrittore Nathaniel Hawthorne, nato a Salem e autore di romanzi sull’argomento ma passato alla storia per La lettera scarlatta).
Heidi Hawthorne (Sheri Moon Zombie) è una DJ di successo che riceve il disco che trasmesso alla radio comincia a fare il suo malefico effetto sulla progenie del pastore inquisitore.
Il ritmo de Le streghe di Salem è rallentato, visivamente cupo nella formidabile fotografia incenerita di Brandon Trost mentre nelle scene diurne l’appeal visivo è un pacifico rimando alle atmosfere dark delle copertine dei vinili dei Black Sabbath .
Zombie si dimostra un grande regista capace di creare un solido impianto visivo senza appellarsi ai cliché in voga nell’horror mainstream contemporaneo , creando un personale universo sudicio e malsano affondato nel liquido oblio del richiamo alla parte oscura della natura. Qualcosa di innominabile , quasi lovecraftiano che striscia nel buio. Non ci si aspetti il colpo di scena, o il twist granguignolesco, già dalle prime battute si capisce che la discesa agli inferi una volta imboccata sarà senza ritorno.
Rimandi espliciti alla cultura black metal , citazioni dell’horror seventies ( e sessanta, visto che il martirio delle streghe sembra uscito da La maschera del demonio (1960) di Mario Bava). Spuntano quadri ispirati a Modigliani mentre le Influenze cinematografiche omaggiano Méliès , Kubrick , l’allucinato Ken Russell e Polanski preso come esempio per tutta la seconda parte del film. Storia, leggende e cultura horror sono mischiate con la visionarietà contemporanea psyco metal di Zombie e con partiture classiche di Mozart e Bach, un brano -parodia del death metal composto da Rob Zombie stesso, i Velvet Underground con Venus in furs e All Tomorrow’s Parties.
Straordinari i titoli di coda dove Zombie con un solo movimento circolare di un dolly ipnotico dimostra di essere un regista coi fiocchi per evocare suggestioni con solo l’uso del linguaggio cinematografico. Altre suggestioni provengono dall’uso del vinile come mezzo per trasmettere la musica e quindi il suo contenuto demoniaco , nostalgia dei suoni caldi dei solchi, del graffio malvagio e tenero insieme della puntina, di tutto ciò che significava avere il disco e la relativa copertina evocativa.
E visto che il vinile è roba d’antiquariato quale mezzo migliore può essere messaggero di una maledizione prevenente dal 1692. Ai tempi del vinile i deliranti benpensanti anti- metal accusavano i musicisti di nascondere invocazioni demoniache tra i solchi, se il disco fosse stato suonato al contrario. Era un’epoca felice dopo tutto, non avevano altro a cui pensare. In questo film il disco gira sempre nel verso giusto ma il succo non cambia.
Le streghe arrivano con la faccia maledetta di Meg Foster e Dee Wallace, mentre si apprezza la chiamata alle armi di un romeriano d'antan: Ken Foree.
Poi con le streghe arrivano anche i problemi. Il problema è la storia che a volte non regge, una storia vecchia (un po’ trite e ripetitive senza divenire ossessive le litanie stregonesche durante il sabba) adagiata su un impianto visivo di prima grandezza ma che mostra i suoi limiti nella costruzione dei personaggi, soprattutto nella seconda parte quando entrano in gioco le streghe contemporanee troppo simili ai buoni borghesi di Rosemary’s Baby di Polanski, dei quali sono espliciti rimandi.
A scene di grande impatto visivo a volte si scade in banalità un po’ rozze ( il diavolo) . Rob Zombie prende maledettamente sul serio lo status di autore , così Le streghe di Salem ammicca allo spettatore in virtù di una (questa si) spaventosa quanto autoreferenziale bravura nel mettere in scena l’estetica della storia demoniaca ma si dimentica del coinvolgimento emotivo.
Tutta la parte finale del film sembra un raffinatissimo videoclip horror di un brano metal, visioni che richiamano ad un immaginario estetico potentissimo ma un po’ slegate dal resto della storia. Si rimane assolutamente affascinati da ciò che si vede, alcune scene sono sicuramente ad effetto e inquietanti ma (delitto) non si prova l’emozione corretta. Si prova ammirazione per ciò che è stato fatto, non inquietudine.
A differenza dei film precedenti Zombie cerca la complicità dello spettatore, guidandolo per mano come un Virgilio alternative nel suo inferno privato per fargli vedere , non per fargli provare . Questa differenza allontana il film dal girone dei capolavori per assommarlo tra i buoni film. In ogni caso anche solo per questa sua particolare estetica ricercata Le streghe di Salem va assolutamente visto.
N.B. Protagonista assoluta della pellicola è la moglie e musa di Rob Zombie, l’ inquietante bellezza anticonvenzionale Sheri Moon Zombie che accoglie su di sé gli incubi del marito con puntuale dedizione. Imposta in un ruolo non semplice se la cava, nulla da dire, ma la visione di lei nuda, prona sul lettone, rimane in mente come la più pervicace delle maledizioni. Per me, a dispetto del tema, Sheri Moon santa subito. Amen.
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