Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Bangkok, Thailandia. Dei due fratelli padroni della notte uno, Tom Burke, inquietante come Michael Shannon, è un maniaco assassino che massacra una ragazzina. Un poliziotto con squadra della morte al seguito (Vithaya Pansringarm) lo uccide di conseguenza con modalità simili. Al fratello superstite, Ryan Gosling, il compito di organizzare la scena (madre) per la vendetta. La mamma Kristin Scott Thomas, trafficante di droga a Miami, sbarca con le peggiori intenzioni. Tutto qui. Il resto della storia sono solo stragi, torture, botte, dialoghi rarefatti e assurdi. Persino certe sottolineature della sceneggiatura (scritta dallo stesso regista Nicolas Winding Refn e già da settimane in rete), per esempio la circostanza che l’anziano sbirro giustiziere sarebbe in pensione, sono sottaciute o soltanto alluse. Esiste a dire il vero un grumo psicologico recondito nel ménage à trois dell’allegra famiglia americana, perché la signora fa apprezzamenti a tavola sul membro virile del figlio morto a scapito di quello vivo, mentre che il padre sia deceduto tempo addietro per mano di uno di loro è molto più di un sospetto. Chissà perché l’eventualità dell’incesto non sorprende, in un simile contesto, ma estremismi edipici a parte è chiaro quanto all’autore poco interessi l’empatia narrativa, e infatti molti spettatori al Festival di Cannes, dove Solo Dio perdona era in concorso, hanno disprezzato. Il teorema è geometrico e visivo. In una rappresentazione controllatissima, iconograficamente dominata da tonalità monocromatiche, luci da Club Silencio di David Lynch, corridoi simmetrici e scenografie perfette ma programmate fino all’ossessione, tutta l’energia sprigiona dalla violenza, vista come unica modalità espressiva del caos. Qui non ci sono dèi disposti a perdonare; del resto che la religione (qualsiasi) fosse inadatta a regolare o arginare la ferocia degli uomini era già ben chiaro in Valhalla Rising (2009), il titolo di Winding Refn che più assomiglia a questo per la caparbia tendenza all’astrazione. Ciò non toglie che la figura del poliziotto ieratico sia quella di un Dio da Vecchio Testamento, implacabile e vendicativo a sua volta, nei confronti del quale il personaggio di Gosling ha un atteggiamento di contrapposizione forzata pur essendogli speculare (come rivela il finale, quando giustiziere e figlio della vendicatrice quasi si sovrappongono). Che però il legame tra i due venga consolidato da un clamoroso pestaggio, dove è il più vecchio, esperto di muay thai, a conciare per le feste il più giovane, quasi goffo nel suo inutile pugilare, la dice lunga sull’idea che Winding Refn coltiva dell’universo umano. In questo misantropico sguardo, cinico ma anche visivamente potentissimo, sta il senso ineludibile del film.
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