Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Mi piange il cuore dover essere così severo con Refn, del quale sono ultra tifoso. Ma tutto quel rosso che aveva così solennemente impreziosito “Walhalla Rising”, contribuendo a fargli raggiungere quei vertici di “misticismo laico” che lo caratterizzarono in tutta la sua forza e potenza, qui serve solo a spegnere, a smorzare, a chiudere la strada agli eventi improvvisi, ai guizzi che nell’altro film, invece, zampillavano insieme a tutto il sangue beceramente versato. E il gioco degli spazi e delle geometrie, colpevolmente rallentato e soporifero, ricorda ahimè quello del malriuscito “Fear X”, che era stato finora l’unico passo falso del regista danese, oggi malauguratamente bissato. E a poco gli sarebbe servito sbarazzarsi di quel Ryan Goslin bamboccioso e senz’anima che già gli aveva abbassato il livello qualitativo di un buon quarto del suo ultimo “Drive”, visto che al personaggio da lui qui interpretato, regia e sceneggiatura chiedevano poco o niente, e poco o niente hanno giustamente ricevuto in cambio. Lady Kristin Scott-Thomas è l’unica con le spalle abbastanza larghe da reggere il peso della sconfitta, ma, anche nel suo caso, la parte dell’Uma Thurman di turno serve solo a svilire lei e tutta l’operazione. E anche i co-protagonisti, specie quello nel ruolo del poliziotto trucido e crudele che si auto commuove al karaoke (ma hai proprio bisogno, Nicholas, di scimmiottare così il cinema degli altri? David Lynch è così tanto passato di moda, e “Le Jene” sono così lontane…), sempre con la concausa di una sceneggiatura debole e per nulla convincente, non colpiscono minimamente né cuore, né cervello. Forse bastano tutti i colpi allo stomaco, ma i sani, sinceri, originali e talentuosi pugni di Bronson, davvero, oggi sono solo un ricordo lontano lontano…
Forza, Nicholas! Ti rifarai, ti aspetto ancora.
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