Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Winding Refn ci aveva lasciato un paio d'anni orsono alla violenza "romantica" di Drive,al suo cavaliere "ombra" del volante,dallo strascico violento mosso dal nobile sentimento.
Ora non siamo piu' tra l'asfalto e i dollari di Los Angeles,nella demarcazione netta tra cattivi "romantici" e "villain" ingordi di denaro sporco.
Ora scendiamo giu',in basso,sino alle" viscere scarnificate" d'un inferno interiore,tra "Red Light" asiatici colmi di putrescenza.
Winding Refn spiazza deliberatamente,cambiando connotati e registro,spingendosi oltre il comune senso etico.
La sua Bangkok non è al suono pop dei "Driver" di Los Angeles è un girone dantesco empio di spettri dalle fattezze umane.
Come Julian,spacciatore "mascherato" da "kickboxer",al quale uccidono il fratello Billy.
Una sera Billy esce ad "incontrare" il diavolo,trovandolo in un sordido bordello,abbracciandolo e spingendolo nelle carni d'una prostituta minorenne.
Billy morira' ucciso dalla complicita' d'un poliziotto in pensione,un "semidio" semovente nella fuliggine thailandese.
E' l'inizio dell'inferno,d'una violenza espressa da "giustizie terrene" e strazi interiori.
Un culmine estatico e ipnotico di cinema "antico" abbracciato alla cinematografia in stile post-moderno.Un'enfasi stilistica molto scenografica e curata al dettaglio,trainata dall'emozionalita' nichilista dei personaggi.
E di mezzo al climax d'una regia danzante coi "revenge-movie" e i "generi" italici all'urlo di gore e splatter,ecco apparire una demoniaca madre.
Una Kristin Scott Thomas platinata, blasfema nell'animo e nel linguaggio.
Un linguaggio accantonato da Refn,in dialoghi scarni e pragmatici,affidandosi alla potenza figurativa, estetica e visionaria.
E' l' incedere violento nei confronti dello spettatore a dirigere il "gioco",l' indugiare ad ogni costo sul martirio delle carni,esplodendo in connotati iperviolenti e malsani.
L'ambiente malsano,diretto nel cuore d'un limbo senz'anima e senza tempo,che chiude i personaggi nella sfera d'una "fiaba" orrorifica.
Colpisce e resta nell'animo "Solo Dio perdona",nel cinema di Refn abbondante nei virtuosismi,tralasciando gli sviluppi della vicenda in figure spettrali.
Apparizioni inquietanti,vendicative e inespressive,fredde nel vuoto interiore,maschere d'un passato (appena accenato) dal respiro terribile.
Le maschere di Refn sospiranti densita' di male assoluto,anime straziate dall'amore manchevole,dai complessi d'inferiorita' e da sessualita' incomplete.
Un aspetto impulsivo e scioccante figurato in modo emblematico , uno spiazzare la visione offrendo paradigmi d'incesti madre-figli, "accarezzando" un ventre straziato,ritornando all'"origine",al calore del grembo materno, ad un purezza neonatale cancellata dal tremendo mondo esterno.
Tutto' finisce nell' orgiastica e cannibalistica ferocia,un sussulto ansiogeno di lotte,sangue a fiumi,vendette trasversali,dove tuttavia si respira un sussulto di umanita',dove Julian risparmiera' un innocente bimba.....
Refn con "Solo Dio perdona" compie un balzo inaspettato,ritorna in parte alle origini di strade corrotte come nella trilogia "Pusher",lasciando a casa il romanticismo di "Drive",affidandosi alla "nemesi spirituale",quella dei vichinghi di "Valhalla Rising".
Come nelle fredde lande di "One eye",la terra asiatica è tumulto di esistenzialismi sottratti dall'incomunicabilita'.
Le relazioni interpersonali non esistono,lasciano spazio al furore fisico,alla rabbia frustrata ed inespressa,e alla familiarita' corrotta e malsana,
Il personaggio di Gosling è l'emblema d' uno sconfitto,della fragilita' maschile,sottomesso a due "donne chiave".
Una presentazione "femminea" incarnata da una matriarca "padrona" e un angelica prostituta,con cui Julian intrattiene un finto rapporto "amoroso",sorretto da una sessualita' "voyeuristica",figlia d'un buio dei sentimenti.
Vi è poi la figura catartica del miglior interprete del cast,(insieme alla Scott Thomas) il poliziotto Vithaya Pansringarm,emblema d'uno "spettro" giustizievole,una marionetta malefica,di nero vestito e dal passo fluttuante.
Venerato come un Dio dagli "sbirri" asiatici,rappresenta il furore esiziale della vendetta,con tuttavia strascichi d'umanita' e sensibilita' "artistica",espletata in soavi canzoni del "poliziotto giustiziere".
Checchè ne dicano i detrattori di Refn,la sua ultima fatica lascia il segno,porta' con sè sedimentazioni d'un male insito nel cuore umano.
Colpisce col suo cinema poetico ed empatico nella visuale,forse un gradino sotto "Drive",ma pregno d' un magnetismo registico senza eguali.
"Solo Dio perdona" rimane un pezzo di rarita' cinematografica,un omaggio all'amore dell'autore per i Bmovie,retto da una mano registica molto personale e intimista.
Serrato nell'ansieta' che trasmette, e sopratutto nella "pietas" umana conclamata da un inetto "redento" come Julian......imperdibile.....voto 9/10
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