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Solo Dio perdona

Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Solo Dio perdona

di alan smithee
8 stelle

CANNES 2013 - CONCORSO
Titolo splendido questo scelto per l'ultimo film dell'ormai celebre regista danese Winding Refn: ricorda la schiettezza senza indugi di certi spaghetti western grezzi ma efficaci. Qui di grezzo non c'è proprio nulla: al contrario c'è molto mestiere, molta contemplazione e voglia di creare atmosfere che restino nella memoria, sfruttando una storia di vendette non certo nuova, che si potrebbe scrivere in tre pagine. La rivincita dell'effetto e della maniera sulla sostanza? Non proprio, perché comunque il film, violentissimo e allo stesso tempo pacato sino all'inverosimile, ricco di reazioni sanguinarie repentine che ricordano certi massacri ad effetto spesso presenti nel cinema meraviglioso di Takeshi Kitano, è davvero molto bello, per quanto disturbante ed efferato. La scena della tortura di un sicario borioso e un po' troppo ottimista e supponente ingaggiato dalla bionda pazza delinquente Crystal (una Kristin Scott Thomas davvero piacevolmente sopra le righe, che ricorda una versione platinata della Perdita Durango lynchana),  è seconda solo, per truculenza e freddo accanimento, alla celebre sequenza di tortura perpetrata da Michel Madsen al poliziotto ne "Le iene" di Tarantino.
Refn in questo film può a tratti ricordare un po' il celebre regista americano di Pulp Fiction, ma il suo ritmo e la solennità delle sue azioni, studiatissime e frutto di calcoli coreografici studiati come balletti, non lasciano spazio all'ironia plateale e smargiassa o allo sproloquio senza freni spesso presenti in quest'ultimo. Al massimo a qualche timido sarcasmo, soffocato dalla ruvida serietà e fissità degli sguardi dei due contendenti. Che hanno le sembianze di Julian, giovane figlio minore della delinquente Crystal, accorsa a Bangkok in seguito all'uccisione dell'altro figlio, quello maggiore (e psicopatico oltre che preferito), morto ammazzato a cura del padre della giovane prostituta che egli poco prima aveva giustiziato per solo capriccio.
L'altro personaggio ha le sembianze di un non più giovanissimo ma dinamico ed inflessibile agente in pensione, il monoespressivo ma efficacissimo e risolutore Chang, tempo addietro soprannominato "l'Angelo della vendetta", noto per l'efficace brutalità dei suoi sistemi di cattura e sistemazione "definitiva" dei delinquenti più problematici. Julian, volto sofferto e triste di un Ryan Goslin quasi muto ma costretto a parlare con lo sguardo e gli occhi, odia dover essere coinvolto in una faida in cui egli non c'entra nulla, titolare come è ora di una palestra di thai-box. Ma la madre non perde occasione per fargli notare la sua inutile ritrosia a vendicare la morte del fratello, sino a spingere i vari personaggi ad un confronto serrato ove il sangue sprizzerà attraverso i solchi delle ferite dilanianti e letali riservate ai malcapitati che si parano di fronte al temibile ex agente.
Senso di disagio, oppressione e sete di vendetta sono i sentimenti primari che emergono da un film che non potrà non dividere o creare sezioni contrapposte favorevoli o contrarie. Siamo distanti dalla complessità narrativa di Drive, ma più vicini alla potenza inesauribile degli atteggiamenti riflessivi e muscolari di Valhalla Rising, che si rispecchiano nel duello finale procrastinato per tutto il film e poi beffardamente ridotto ad una scelta di resa finale inaspettata.... ma non troppo, perché in effetti più volte preannunciata dallo sguardo pietrificato e dolente di un Goslin rassegnato al peggio, che parla poco ma appare molto ed in modo efficace, come ormai ci ha abituato.

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