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L'uomo d'acciaio

Regia di Zack Snyder vedi scheda film

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La recensione su L'uomo d'acciaio

di M Valdemar
7 stelle

Il Superuomo s’è fermato sulla Terra.

Semplicissimo quanto efficace, il simbol(ism)o si palesa con tutto il suo carico di (diversa) umanità e responsabilità distendendosi in cristica posa, in almeno un paio di momenti-rivelazione: dapprima nel liquido vitale-acqua, sorta di grembo materno che culla e tiene al riparo in attesa della scoperta di sé, e poi, assunta piena conoscenza del passato e coscienza del proprio destino, fluttuante in aria, come a dominare gli elementi.
[“gioco” che riflette, abilmente, l’evoluzione della pellicola stessa]
Il salvatore ora è pronto, il pianeta Terra lo sarà …

Ad essere senz’altro pronta è la materia filmica creata e plasmata dalla “sacra” triade/trinità regista (Zack Snyder) - sceneggiatore (David S.Goyer) - produttore/”anima” (Christopher Nolan): opera attesa, attesissima, già “evento” nell’istante esatto in cui la prima cellula (ri)produttiva è venuta alla luce nelle teste degli Studios.
Da (co)tante aspettative, l’esito è una certificazione felice del blockbuster inteso come stato della mente: puro spettacolo.
Spettacolo parto/porto di un incrocio brillantemente riuscito tra il senso classico ed epico del racconto (gli “elementi” narrativi, compositivi si muovono lungo una retta curvata opportunamente in più parti, dal lungo prologo che serve da introduzione agli in­serti in flashback) e la smisurata proposta estetica, i cui effetti - sia sonori sia visivi - costituiscono uno “speciale” sconfinamento in territori da esplorare per i prossimi approdi nel genere.
Un bombardamento implacabile e stordente, ben congegnato: a dirigere le bellicose operazioni il discontinuo Snyder, che utilizza le (poche) pause per dare quel po’ di spazio necessario ai personaggi per crescere ed “entrare” negli occhi e nei cuori degli spettatori.
Perché - inutile sviare il discorso -, l’influenza/cura nolaniana consiste - quanto mai a ragion veduta - soprattutto nell’approccio, nella mentalità, nell’addentrarsi nei meandri del lato “oscuro”; nella ricerca, in definitiva, di piantare semi di “realismo” in un mastodontico campo geneticamente irreale, “alieno“. Si (di)spiega così l’elementare e tutt’altro che insistito lavoro sulla psicologia e sull’indagine introspettiva del protagonista - vis(su)to come emblema divino in mezzo ai terrestri da salvare - e dei suoi alleati, antagonisti e familiari.
Gli abbozzi retorici, le schematiche dinamiche relazionali, i meccanismi tipici del racconto di formazione e quelli dei supereroistici, lo sfruttamento di tematiche note come quella della diversità, le semplificazioni action: sono tutti principi essenziali di una formula vincente che vede come scopo primario scatenare un’irresistibile forza di attrazione nei confronti del pubblico (e, del resto, sarebbe stato oltremodo fuorviante e sbagliato replicare il metodo nolaniano in toto).
La missione, invero non propriamente facile (vedasi il clamoroso insuccesso del Superman Returns di Bryan Singer, che pure cercava di deviare dall’imperante ottica fumettistica/“fumettosa”), è stata pertanto raggiunta. L’opera di Snyder (& Company) osa - in termini di spettacolarità e spettacolarizzazione - volando tra “oceani di stelle”, mettendo in scena scontri “spaziali” e (spicci) conflitti interiori, ed azionando l’acceleratore quantico in virtù di un’esplosione nucleare che sullo schermo si traduce in intere zone distrutte, in continue sfide alla gravità (terrestre), in tambureggianti sequenze che lasciano letteralmente senza (il tempo per un) respiro.
Il rifiato avviene solo ai titoli di coda (magari attendendo l’ormai classica “sorpresa”), quando ci si rende conto tra l’altro di non aver affatto indugiato e riflettuto sulle prove degli attori se non in maniera superficiale (l’inespressività “necessaria” di Henry Cavill; l’aura cattiva emanata dal solito strepitoso Michael Shannon; la presenza regale di un ritrovato Russell Crowe e quella forte di una sempre brava Amy Adams; la subalternità esclusivamente funzionale di Laurence Fishburne, Diane Lane e di un troppo vecchio per il ruolo Kevin Costner; le facce “giuste” di Christopher Meloni e Antje Traue).
Ricapitolando: strategia (in parte) rischiosa, resa ottima, incassi eccellenti al box office e già decisivi.
Sì, siamo pronti per il seguito (attenzione: durante una scena esplodono delle cisterne di merci pericolose col “pericoloso” marchio Lexcorp …).
 

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