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La caviglia di Amelia

Regia di Francesco Calogero vedi scheda film

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La recensione su La caviglia di Amelia

di OGM
7 stelle

Troppo amore. Troppo poco amore. Dal romanticismo ottocentesco alla freddezza della modernità. Uno scrittore dei giorni nostri affronta la crisi del presente tuffandosi nell’illusione del sentimento investito di un antico decoro, fra tradimenti cortesi e  codice d’onore dell’aristocrazia. Amelia è una nobildonna trascurata dal marito, dedito ad avventure extraconiugali. Un giorno, durante una passeggiata, incontra un giovane ufficiale che, vedendo la sua caviglia spuntare dalla gonna, se ne invaghisce, e  tramite un comune amico, riesce ad ottenere da lei un appuntamento. La trama è basata sulle opere verdiane, di cui risuonano le arie nelle scene ispirate al cinema muto. Sono stacchi su un passato in cui il sogno si tingeva dei toni intensi e languidi della tragedia. L’anacronismo è il ritorno ad una capacità di credere alla crudele magia della favole: un’inclinazione dell’animo che non trova più spazio nel mondo di oggi, dove il disincanto e la sfiducia allontanano gli uomini prima ancora che tra loro possano nascere passioni e rivalità. A casa del protagonista si ritrova, una sera, un gruppo di giovani intellettuali. Ma l’atmosfera resta cupa, fra incomprensioni, amarezze, rimpianti di tante vite che non hanno trovato la strada, né, tantomeno, un valido compagno di viaggio. Il contrasto tra la realtà di oggi e la fantasia di ieri accentua la tensione generata dalla spinta creativa frenata dalla frustrazione, dall’impossibilità di riconoscere, nell’ambiente circostante, un appiglio da cui far partire una speranza di felicità. L’altro non rappresenta nulla, né un alleato, né un avversario. Si parla solo per mettere in evidenza le differenze che dividono, che impediscono qualunque dialogo. Una volta i rapporti erano chiaramente classificabili, secondo le categorie del romanzo (la moglie tradita, il marito geloso, l’amante segreto, l’amico del cuore)  e le controversie si dirimevano secondo le usanze (il duello). Ora i personaggi non esistono più, almeno non quelli definiti da un ruolo ben preciso all’interno dell’intreccio. Non ci sono complotti, ma solo tentativi di costruirsi un’identità nel territorio confuso delle relazioni sociali. Dove imperversava la tempesta, ormai è calata la nebbia: le storie hanno perso la loro forma, tanto che quelle che qualcuno ancora osa inventare sembrano triti stereotipi, del tutto inverosimili. Invece è forse proprio in quei racconti che si nasconde un’autenticità perduta, una limpidezza delle emozioni che non aveva paura di palesarsi per quello che era, senza ricorrere a mezzi termini, né schermirsi dietro pietose allusioni. Qualcuno, però, ha il coraggio di tornare indietro, a quella finzione che non temeva di esprimere a chiare lettere la verità del sentire, pur ricoprendola del costume artificiale della poesia. Con questo film Francesco Calogero consegna alla pellicola una spontanea riflessione sull’incertezza dell’arte nei momenti in cui tutto sembra dover essere rivisto e ripensato, Il casuale viavai dei giorni nostri è forse più ipocrita delle rituali schermaglie di un tempo; è un vile eccesso di sfiducia, al quale bisogna opporre, come estremo rimedio, una dose di salutare ingenuità. Alla quale si aggiunge, nel finale, come nota di ottimismo, la speranza che nulla sia come sembra. 

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