Regia di Tonino De Bernardi vedi scheda film
Chi c’è c’è. Basta anche che sia solo di passaggio, anonimo, senza volto, o con una maschera da attore fatta in casa. La vita è l’attimo qualunque che ci scorre davanti agli occhi. È il frammento di discorso familiare, o anche estraneo, magari incomprensibile, artisticamente astruso, o seriosamente impostato. Anche se non ce ne accorgiamo, intorno a noi tutto si affanna per sembrare importante. Ad aiutarlo nell’intento intervengono spesso le nostre piccole manie, le nostre personali passioni che dirigono la nostra attenzione verso ciò che a cui altri non badano. Tonino De Bernardi ci insegna che guardare la realtà è una soggettiva questione di amore o indifferenza, di disprezzo o compassione; ognuno di noi è regista della sua compagnia, in cui distribuisce a sua discrezione i ruoli di protagonisti, comprimari, di comparse. Tutti interpretano la loro parte, che ci piaccia o no, e siamo noi a dirigerli, a determinare l’inclinazione della loro voce, a decidere come porre gli accenti, come collegare il gesto e la battuta. Se il senso si evince dal contesto, allora il contesto siamo noi: siamo noi che scegliamo gli antefatti e gli epiloghi delle varie, singole scene, che ci si propongono sempre incomplete, iniziate chissà quando, incamminate verso chissà quale fine. Questo film ribadisce la sconclusionatezza come il carattere fondamentale dell’esistenza: un puzzle che dobbiamo ricomporre con il pensiero attivo, che decodifica gli eventi e ne plasma la forma a sua immagine e somiglianza. L’umanità si racconta incontrandola per caso, e facendola convivere in una storia senza trama, in cui è chiamata a fare da filo conduttore con la propria visione limitata: è quello stato di prigionia, di separazione dai propri desideri, di ansia di fronte alla visione dei propri sogni ed incubi, che la rende combattente, creatrice, ribelle, capace di indicare una direzione, di testimoniare la prolifica irrequietezza dello stare al mondo. Gli operai manifestano contro la chiusura della fabbrica. Gli amanti soffrono per la loro separazione. Un nonno freme di tenerezza alla vista dei propri nipotini. Una maestra di teatro si infervora di fronte all’emozionante imperfezione dei suoi allievi. Essere in transito, trovarsi in bilico, risultare acerbi, incompiuti, carenti è la condizione che più di ogni altra prelude alla crescita, alla metamorfosi, alla ridefinizione dei ruoli, e che costituisce dunque il vero motore dell’universo. Il bucato deve essere steso, non può restare bagnato dentro la conca. Il pane crudo chiede di essere messo nel forno. La stoffa è fatta per essere tagliata e cucita. Il migrante deve arrivare, e poi ripartire. Nessuno può restare fermo. La quiete non è concessa a nessuno, è solo una breve parentesi di indecisione, che contiene in sé il ritratto dei futuri sviluppi. Succede anche ad un letto sfatto, le cui lenzuola ammucchiate mimano il movimento del corpo che le ha messe sottosopra, e si preparano a reagire alle mani che le appiattiranno, che le tireranno di qua e di là. Non c’è pace nemmeno dove la miseria costringe gli uomini a stare seduti sul bordo di una strada; là si lavora anche se il lavoro non c’è, si trasportano pietre che non costruiranno niente, si girano film che non usciranno mai. L’essere sa resistere a tutto, tranne all’inerzia. Sa gestire benissimo l’inutilità, ma non l’assenza di azione. È un bambino vivace, che gioca con qualsiasi cosa gli capiti a tiro, nelle maniere più fantasiose, e solo così riesce ad essere contento e riempire il suo tempo. È un gioco anche mettere insieme le sensazioni procurate dal caotico avanzare della vita, cercando di farne una filastrocca a cui sia possibile dare un titolo, in cui si possano individuare delle strofe. È la croce e delizia di tutti noi, che non possiamo fare a meno di avere gusti ed opinioni, di formulare delle idee, di sviluppare simpatie ed avversità. I nostri nemici sono quelli che non condividono il nostro sforzo di comprendere, il nostro tentativo di spiegarci. Lo straniero è malvisto perché ha un comportamento bizzarro, e non sa esprimersi bene. Lo siamo tutti noi, agli occhi di chi ci ritiene alieni al suo modo di pensare. Per loro siamo tanti cristi che predicano assurdità, che si credono re, che sono ridicoli, che meritano di essere messi alla berlina, con in testa una corona di spine. È questa la gogna che un certo cinema ha deciso di trasformare in un palcoscenico per pochi eletti: uno spettacolo in cui l’essere rivendica e riconquista la propria dignità semplicemente deponendo la vergogna.
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