Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
Un bimbo mai nato (forse), una speranza persa, ritrovare il senso ad una vita che ha perso senso, la vicinanza a un Dio che sembra inesistente quando accadono cose terribili nella propria vita. Queste forse le cause per Augusta (la brava Jasmine Trinca, che attendo di vedere anche nel nuovo film della Golino “Miele), la protagonista di questo bellissimo film, per un viaggio “dall'altra parte del mondo”, quelle parti del mondo che da qui, dall'Italia, appaiono più sfortunate e disperate.
Augusta, accanto a suor Franca, naviga sul grande fiume dell'Amazzonia, il Rio, o uno dei suoi tanti affluenti, per portare conforto, aiuto e soprattutto per evangelizzare le varie e numerose comunità indigene, che però appaiono sì mansuete e pacifiche, ma che non sembrano capire fino in fondo il senso del Dio cattolico, che gli viene “consegnato” in cambio di aiuti, cibo e lavoro.
Augusta è una giovane donna di trent'anni che su quella barca cerca risposte, ma che comprende presto che quelle risposte non le troverà nelle parole di suor Franca, abituata per troppi anni a darne di “prefabbricate”, pronte all'uso (bellissimo il dialogo tra la suora e un prete che, dopo l'ennesimo rifiuto di un indio di trasferirsi presso la nuova comunità religiosa, le dice “prima di evangelizzarli dovevamo fargli un trapianto di cervello”).
Augusta mantiene dei contatti sporadici ma intensi con la madre Anna (interpretata da Anne Alvaro) rimasta in Italia, che a sua volta accudisce la madre anziana, un triplice rapporto al femminile, donne sole che si sorreggono con un amore fatto di ricordi, di sensazioni, di emozioni... si riesce a stare vicini anche stando lontani, e subentra un senso di protezione eccezionale, che forse la vicinanza fisica aveva in qualche modo reso inutile. Non ci sono mariti, fidanzati, padri o amici al maschile in questa storia, ma la presenza della necessità di un uomo, del padre soprattutto, si percepisce a fondo, come una mancanza incolmabile, che rende emozionante davvero alcune scene del film.
Augusta sceglierà di lasciare la barca e suor Franca e di trasferirsi nella favelas di Manaus, in una famiglia di indios, dove crede di trovare finalmente quel senso alla vita inserendosi nella dura realtà della comunità della favelas.
Augusta si lascia finalmente andare, forse ad un amore, crea forti sodalizi con le donne della casa, purtroppo vicende terribili, la perdita (nuovamente) di un bambino (non suo questa volta) di una sua amica, Janaina, la fà precipitare in una nuova e profonda crisi, lascia così la favelas per accamparsi sulla riva del fiume, che le porterà per la breve durata di un gioco pomeridiano, l'arrivo di un piccolo bimbo indio. Un finale molto bello e commuovente.
Un film importante, complesso e difficile, questo di Giorgio Diritti.
Il fiume come legante per un racconto articolato tra vari personaggi, tra Brasile e Italia. Il fiume che viene attraversato all'inizio con suor Franca (una brava Pia Engleberth, che io avevo apprezzato già nel ruolo di suora ma nella sit-com “Belli Dentro”) è un fiume pacifico e tranquillo, sicuro, rappresenta bene quella sicurezza con cui la brava suora per tanti anni prosegue la sua opera di evangelizzazione, una fede senza se e senza ma, che non si pone domande, ma sa dare tutte le risposte, disposta a “commercializzare” la fede in cambio di lavoro e cibo, dei compromessi utili. Mi ha molto impressionata la scena in cui la suora distribuisce piccole statuette di Gesù bambini fluorescenti, come perline, piccole luci per illuminare piccole menti.
Il fiume delle palafitte della favelas è un fiume pericoloso, sporco, infetto, che porta sudicio e che quando và in piena trascina via senza pietà le case, rappresenta forse il Dio cattivo? Quello da comprendere? Eppure gli abitanti della favelas non vogliono abbandonare le loro povere case in cambio di soldi per farci nascere i grattacieli (che devono costruire), le palestre e i negozi (che devono pulire), ed è proprio su quel fiume brutto e cattivo che fanno nascere le loro famiglie, che creano le loro comunità. In queste favelas c'è una specie di “sindaco”, la “voce della palafitta”, che periodicamente tramite un microfono, parla alla comunità, creando così una sorta di chiesa comune, laica, che comprende forse fino in fondo le vere esigenze degli abitanti.
Infine c'è il fiume dove Augusta cerca conforto e riparo, il fiume che le porterà un sorriso tramite l'arrivo di un bambino che la farà giocare ancora, ritrovare così quella speranza, quella voglia di non arrendersi, un bimbo non suo è vero, ma forse proprio per questo di tutti.
C'è anche casa, l'Italia, dove Augusta non torna, ma dove arriva Janaina, la giovane donna e amica di Augusta che ha perso il bambino a Manaus. Per Janaina è l'Italia il posto “dove andare”, da dove ripartire, dove instaura un rapporto con la madre di Augusta fatto di assenza di parole, ma di sincera comprensione (bellissimo l'abbraccio che le due donne si danno quando si incontrano per la prima volta), forse proprio incontrando Janaina così lontana da casa, la madre capisce cosa è andata a cercare sua figlia in Brasile.
Commuovente fino alle lacrime la preghiera che Janaina fà sul letto di morte di una donna in ospedale dove si trova per fare da badante alla nonna di Augusta, una preghiera non cattolica, una preghiera che proviene da un luogo lontano, ma che a me personalmente, mi ha riempito il cuore e che vorrei imparare.
Un film necessario per il nostro cinema italiano, forse difficile, che usa un linguaggio poco utilizzato oggigiorno, abituati al fast-food cinematografico, questo è decisamente un buon pasto, nutriente, fatto con ingredienti scelti, per i quali c'è voluto molto tempo per la semina e il raccolto.
Ringrazio il mio amico che ieri sera inaspettatamente mi ha portato al cinema (sala quasi deserta, due gatti, in un posto “in cima al mondo”), senza di lui sicuramente questo film non sarei riuscita a vederlo, mai tanti chilometri mi sono fatta per vedere un film, ma ne è valsa la pena, grazie di cuore.
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