Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
Giorgio Diritti, classe 1959, Bologna, continua a stupirci. Se pensiamo alla sua formazione al fianco di autori come Avati e Fellini, Olmi, forse solo quest'ultimo ha lasciato traccia seppur velata nel suo modo di fare cinema, nel senso che anche in Diritti cogliamo continuamente questo amore per la natura per l'ambiente questo renderli continuamente in qualche modo protagonisti.
Diventa famoso per un film (il suo esordio al lungometraggio) che all'inizio sembrava non decollare al cinema, e che poi con il passa parola è diventato un gran successo, anche di pubblico: Il vento fa il suo giro. Con questo film nel giro di anni partecipa a ben 60 festival non solo nazionali ma soprattutto internazionali. Pare abbia vinto altre 36 premi,
Il film inoltre diventa un “caso nazionale”, restando in programmazione in un cinema di Milano e di Torino più di un anno e mezzo. Incredibile se si pensa alla debole accoglienza avuta all'inizio.
Il secondo film, il bellissimo “L'uomo che verrà”, molto connotato nella scelta stilistica e nella direzione degli attori e nella scelta del delicatissimo argomento, sarà il film che lo consacrerà ad autore, e presentato al Festival di Roma nel 2009 vince il gran premio della giuria e del pubblico. Non potevamo quindi perderci questa sua nuova opera dallo strano titolo "Un giorno devi andare", dove le inquietudini di una donna che non può avere figli, delusa dal disamore dell'amato e la cui vita sembra aver perso senso finiscono con un lungo viaggio in Amazzonia. Perché l'Amazzonia? è la prima domanda che mi sono posta. Inevitabile andare quindi a cercare nelle interviste del regista il reale messaggio che egli ha voluto dare. In realtà la scelta è nata da un'esperienza sul posto fatta da Diritti nel 2000 quando si recò in Amazzonia per farne un documentario. Da lì in poi mai più dimenticò quei posti. Dopo le ambientazioni regionali dei suoi primi due bellissimi film, Il vento fa il suo giro e L'uomo che verrà, Diritti ha deciso di affrontare il tema del viaggio, e questo è il primo motivo della scelta.
Afferma commosso: “Volevo fare un film che fosse un'occasione di viaggio, mi piaceva pensare che lo spettatore a fianco di Augusta potesse stupirsi con lei e vivere le sue emozioni. Il viaggio è l'occasione per ritrovarti di fronte a cose che ti interrogano sulla vita che stai vivendo e grazie a questo cominci a ristabilire delle priorità. Qua partiamo da un trauma personale, ma a motivare il viaggio è comunque il desiderio di essere felici o di vivere meglio. Anni e anni di consumismo e promesse di felicità ci hanno portato un senso di oppressione, di pesantezza e di angoscia, adesso che l'economia va male. Un viaggio si può fare avendo la forza di guardare le cose in un modo diverso, anche passeggiando per Roma, o sull'Appennino, non necessariamente in Amazzonia. E poi certe cose, certe idee si respirano perché magari hai degli amici che attraversano dei momenti di difficoltà. Pochi giorni prima di partire è morta mia mamma e andare in quei luoghi dopo un dolore così forte è stata la prima traccia emotiva del film". Al centro di questo film, come nel precedente, ci sono delle figure femminili. Diritti spiega così la sua scelta: Già nel suo film precedente c'era una coralità, una dimensione femminile, perché la storia ci racconta troppo spesso di uomini con un senso forte dell'orgoglio che dà origine a enormi disastri, come la guerra. Lo sguardo femminile ha un senso di fiducia e di apertura importante nei confronti del mondo. La sensibilità femminile è molto preziosa: il regista ha molte amiche molto care per il loro senso di "accoglienza” come lo definisce lui, la capacità di ascoltare e capire che vuoi trasmettere depositare nell'anima di chi ti sta di fronte qualcosa di personale ma di importante. A dare vita al personaggio di Augusta è Jasmine Trinca, impegnata in un vero tour de force anche fisico nel ruolo della protagonista: In un intervista racconta: “Giorgio ha l'idea, molto controcorrente rispetto al nostro cinema, di far parlare le persone che in genere non parlano, come le donne. Già quando mi ha parlato di questo film sono rimasta colpita dal suo coraggio nel provare a raccontare qualcosa di diverso, di interiore, l'universo di una persona. Non potevamo andare in Amazzonia, nella città sulle palafitte di Manaus, come fa chi di solito fa il cinema, ma ci siamo andati completamente innocenti, come dei fanciulli, aperti all'incontro, con tante avventure che in parte si vedono anche nel film. Dovevamo rispettare il posto e accogliere la priorità delle cose”.
Come precedentemente accennato, nato da un'esperienza sul posto fatta da Diritti nel 2000 quando si recò in Amazzonia per farne un documentario "Un giorno devi andare" ha un altro tema importante, che contraddistingue gli indios dei villaggi, che il governo brasiliano vuole trasportare altrove: “Il senso di comunità – dice Diritti - accompagna i miei film e la mia stessa troupe diventa una comunità, come il rapporto con i luoghi in cui giro. In quella palafitta abbiamo passato più di un mese. Credo che il bene del singolo passi attraverso il bene della comunità. Anche in questo caso c'è un segnale forte di minaccia che viene dall'esterno: è l'arrivo del progresso che porta benessere, ma sradica queste persone per mandarle in una specie di raffinato campo di concentramento, disperdendole e allontanandole dai luoghi in cui sono nati e nel film notiamo come molto più corruttibili al denaro sono gli uomini che non le donne. Spesso il progresso si dimentica dei valori importanti del vivere assieme. I bambini nei villaggi indios sono i figli di tutti. Se hanno un padre o una madre non adeguati, c'è sempre qualcun altro che si prende cura di loro, non sono mai abbandonati, nelle altre parti del Brasile i bambini crescono invece come piccoli abbandonati, accalappiati nella loro ingenuità dalla malavita e questo è un peccato. E' un po' come nel nostro piccolo la dimensione diversa in cui crescono i bambini in un paese invece che in una città. Certo mai generalizzare. Ma in un paese non sei quasi mai solo, salvo i casi come "il Vento fa il suo giro" sorride.
La scelta dell'attrice Jasmine Trinca che è stata dettata dal fatto che il regista ha visto in lei una capacità singolare di calarsi nel personaggio con rara capacità di immedesimazione e abnegazione (che aveva già notato ne "La meglio Gioventù), non solo da un punto di vista psicologico ma anche fisico, fino al punto da affrontare le tempeste tropicali e pagaiare sotto la pioggia battente lungo il grande fiume. Lei da parte sua racconta così la sua esperienza su questo incredibile set: “Lì c'è un'apertura totale, c'era gente che non aveva mai visto un film e si è subito adattata e entusiasmata alla cosa.
Dovevamo andarci in ascolto e con gli occhi spalancati. Io ci sono arrivata senza la malizia dell'attrice, per conoscere il luogo. Fin dal primo momento ho capito perché le persone vivono così e cosa c'è di potente e magico in quel posto. Abbiamo affrontato tempeste, pioggia battente, un tornado, situazioni estreme. Il caso ha voluto che anch'io partissi per questo film subito dopo una grande perdita, è stato anche un viaggio attraverso me stessa, il dolore e la comprensione della persona che sono. Non ho usato il film per superare il dolore ma è stata l'occasione di incontro con un altro luogo, con quella natura a cui tutti apparteniamo, in una dimensione piena di energia. Quando tutti gli stimoli, anche quelli molto superflui, cessano hai talmente tanto tempo per pensare che alla fine non ne puoi più ma sei obbligato ad entrare in te stesso. Ti resta la memoria sensoriale di un'esperienza del genere, alla fine ne resti contaminato".
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