Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
E tre. Giorgio Diritti non sbaglia un colpo. E come a volerlo sottolineare, anche Jasmine Trinca (l’imbronciata, infelice, tormentata Augusta) si è fatta più bella. Un incipit che già di suo strozza il fiato in gola (l’immagine ecografica di un bambino sovrapposta ad una luna capricciosa che fa capolino tra i nuvoloni, il pianto fluviale, silenzioso di Augusta), poi il paesaggio sconfinato dell’Amazzonia (“Qui tutto e immenso, potente”) entro il quale all’umanità non resta altra possibilità che farsi piccola piccola (ed è proprio nel gioco delle proporzioni, dell’alto e del basso, che Diritti piazza uno dei suoi colpi migliori), e ad Augusta non resta che lasciare, come fa il barcone missionario “Itinerante” sul fiume, la scia ostinata della sua ricerca interiore. Ricerca che sembrava già sufficientemente avviata da quando la ragazza aveva lasciato l’Italia per andare “nella foresta”, ma che solo nel finale trova il cambio di passo, la marcia in più, il coraggio di scavare in un profondo inimmaginato fino a prima, una fuga nella fuga, o meglio: una rincorsa nella rincorsa. Passando attraverso la religiosità, il contatto (per la conoscenza) con l’essenziale, gli occhi di mille bambini che Diritti riprende con una delicatezza incredibile, Augusta rincorre una pace perduta, che non potrà che arrivare con l’incontro di un bambino, appunto, uno dei tanti, ma il primo incontrato dopo che “la terra abbia dato i suoi frutti”.
Da non perdere.
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