Regia di Valeria Sarmiento, Raoul Ruiz vedi scheda film
E Lisbona non cadde. Grazie alle fortificazioni fatte erigere, tra il 1810 ed il 1811, dal generale britannico Arthur Wellesley, duca di Wellington, le truppe napoleoniche, giunte in prossimità della capitale, dovettero ritirarsi definitivamente dal Paese. Il film postumo di Raul Ruiz – portato a termine da sua moglie Valeria Sarmiento – è il lungo racconto di una campagna militare, della fuga di una popolazione, di anime di varia provenienza che si incontrano, nei luoghi di battaglia come nelle retrovie, per scambiarsi cose materiali e non, di natura più o meno nobile, per amarsi oppure odiarsi, trarsi in inganno od offrire aiuto. La guerra è anche un crocevia di culture, che si trovano insieme a combattere chi per un ideale, chi per la sopravvivenza, trovandosi insieme a condividere i diversi volti della sofferenza umana. Il romanzo ottocentesco, con le sue trame a base di sentimenti problematici e dilemmi morali, rivive qui con la complessa intensità delle piccole cose: è il fitto tessuto in cui si intrecciano i casi particolari che riducono l’uomo a un minuto dettaglio dentro a una storia troppo intricata per essere narrata per bene. La si può guardare solo attraverso lo spioncino della nostra limitata condizione, ma i pezzi intravisti sono poi difficili da mettere insieme. Ruiz non assisterà alla realizzazione del suo ultimo film, tratto dalla sceneggiatura di Carlos Saboga, eppure lì, fra le righe non scritte dell’azione, si avverte ancora, potente, quella sua anima scanzonata che amava saltare le pagine, bearsi del non detto, donando al paradosso un misterioso soffio vitale. Di fronte ad un esercito bilingue, a padri surrogati, a traditori onorevoli, a mogli di due uomini, a prostitute redente, mercenari pentiti, anziane violate che tornano bambine, morti che risorgono, la memoria si azzarda a correre molto indietro nel tempo, fino a La maleta (1963), quel cortometraggio d’esordio in cui l’impossibile si volge genialmente in burla, eludendo agilmente i passaggi logici fondamentali. Il contrasto è ambiguità insita nella natura del creato, soprattutto di quella sua parte che è dotata di intelligenza, e che dunque può scegliere, esitare, finire per trasformarsi. Lo scenario bellico è il teatro ideale in cui mettere in scena la tragicommedia dell’indecisione, che a volte è una tendenza tanto tempestosa e sconvolgente da contagiare persino lo stesso destino, spingendolo a ripetersi, a contraddirsi, a perdere il filo del discorso. La conocchia, tenuta in mano dalla regia, è solo il cuore pulsante del garbuglio, è la sua mente operatrice, che lo guida attraverso gli eventi incoraggiandolo a non abbandonarsi al caos, e a fare del disorientamento il carburante delle emozioni più profonde, quelle il cui balbettio arriva a suonare come un canto, a declinarsi in un apologo rivelatore. Il palpito, spontaneo e disordinato, si condensa in aforisma. E la favola raggiunge il suo finale dopo aver attraversato la solita giungla di pensieri oscuri.
Linhas de Wellington ha concorso, per il Portogallo, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
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