Regia di Valeria Sarmiento, Raoul Ruiz vedi scheda film
Ecco un altro bel film che ancora non è stato distributio da noi. Presentato a Venezia 2012, Linhas de Wellington è stato diretto da Valeria Sarmiento, ma pensato e preparato dal marito Raul Ruiz, che dallo stesso magmatico materiale avrebbe voluto trarne anche una miniserie televisva. Un sogno spezzato dalla morte, a soli settant'anni.
Dopo due tentativi falliti, Napoleone Bonaparte incarica il maresciallo Massena di condurre in porto la campagna portoghese, cercando così di dare una spallata decisiva alle guerre d'indipendenza della penisola iberica. Alleate ai portoghesi ci sono le truppe britanniche guidate dal duca di Wellington, le quali riescono a logorare l'esercito rivale durante la battaglia del Buracao (1810). Dopo questa vittoria, però, gli anglo-portoghesi decidono di arretare verso le linee di Torres Vedras, una serie di fortificazioni costruite allo scopo di proteggere la capitale Lisbona e ulteriormente rafforzate da Wellington a insaputa dei francesi. Il film si costruisce partendo da questo antefatto, e pian piano si dapana in una serie di quadretti che seguono, a loro volta, una teoria di personaggi, volti rappresentativi di una folla muta e inerme.
Piccole storie d'ordinaria quotidianità bellica, lontano da conclamazioni ed eroismi, spogliate d'ogni alone romantico e declamatorio.
La Sarmiento e Ruiz lasciano la guerra quasi interamente fuoricampo e frantumano l'io singolare in un "io collettivo" (e qui perviene alla mente un film seppur totalmente estraneo come La sottile linea rossa), ma la pellicola non è solo l'effige di un conflitto sporco (che la fotografia livida sottolinea fin troppo didascalicamente desaturando le tonalità più calde e vitali, se non nelle scene d'intimità in interni, affidate per contrasto al calore del lume di candela) o il ritratto di un Europa che presto, con la Restaurazione, sarebbe stata riportata al grado zero dopo l'egemonia (utopistica?) napoelonica. A renderlo interessante (oltre al puzzle narrativo che positivamente ricorda certa buona letteratura dell'Europa Occidentale del primo Ottocento) è la capacità "colta" di muoversi nel territorio della rappresentazione (e della rappresentabilità). E' l'imperitura controverisa dello stat Roma pristina nomine ("la Roma primigenia rimane nel nome"). Che cosa rimarrà di questo specifico trancio bellico? Rimarrano forse solo nomi indicativi su libri di storia (o bianche pagine digitali)? O raffigurazioni grafiche? Non per niente il duca di Wellington (un Malkovich cui ogni tanto viene offerto un ruolo all'altezza del nome) pare preoccupato solo di dare indicazioni al pittore incaricato di ritrarlo ("troppi cadaveri" - dice). Ma questi simboli sono forse "la" battaglia, "la" guerra, "il" conflitto? Ed è qui che noi tutti siamo costretti a confrontarci con il concetto di verità storica. Parafrasando l'adagio succitato, sta la verità storica nel nome? E la sua rappresentazione?
Questioni ultime, nell'accezione etimologica dell'essere "al di là"... Al di là forse di risposte certe, definitive, sciolte da dubbi, categorizzanti.
E' un film lungo, impegnativo, non per tutti, ma forse "necessario", dovuto, importante.
Ultima nota: geniale la scelta di casting di lasciare attori famosi in ruoli di contorno. Oltre al già citato Malkovich (Wellington è solo una delle tante facce che popolano l'affresco), bisogna citare la Huppert, la Deneuve e un geniale Piccoli interpreti di uan famiglia di banchieri svizzeri.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta