Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Una ragazza rumena emigrata in Germania torna nel paese natio per riprendere la relazione omosessuale con l'amica d'infanzia, di cui non sopporta la lontananza. La ragazza però ora è in convento, e non è affatto intenzionata a tornare sui suoi passi.
*** ANTICIPAZIONE DEL FINALE *** Cristian Mungiu un'altra volta non delude, con il suo sguardo particolare sulle persone, e con il suo stile così personale, fatto praticamente di piani sequenza senza montaggio.
Ho visto dalle altre recensioni che molti ne danno una lettura diversa della mia. Vedono cioè nella vicenda una parabola degli effetti nefasti della costrizione (il convento) sulla spontaneità dei sentimenti, e quindi una netta condanna delle religiose, del padre, e della regola stessa del monastero. A me sembra, invece, che il regista ci racconti una storia con uno sguardo assolutamente neutrale e privo di giudizi. Tutti i personaggi principali sono sostanzialmente positivi, benché ciascuno con le sue piccole ombre. Chi è più disadattato e problematico, cioè Alina, ha però avuto un'infanzia dolorosa, tra la famiglia che l'ha abbandonata e la dura vita dell'orfanotrofio (si sa che in Romania ce ne sono tanti).
Assolutamente negativa credo sia solo la dottoressa che constata la morte della ragazza: è cinica, e chiama la polizia solo perché odia le monache, mentre della ragazza le importa in realtà poco. Infatti chiamando la collega al telefono parla del regalo di compleanno di suo figlio, e dice che la casa è già piena di giocattoli, il che dà un'idea del personaggio e della sua vita.
Quanto alle due protagoniste non si può evitare di dare una lettura del loro comportamento. Le due ragazze evidentemente avevano avuto un relazione omosessuale, mascherata da amicizia oppure palese, che ora Voichita ha deciso di troncare perché è entrata in convento. Alina non accetta questo fatto, ed è disposta a tutto purché tutto torni come prima; in ultima analisi non le importa neanche di essere ricambiata, ma le basta che l'amica acconsenta, che la tolleri. Il suo è un sentimento possessivo, infantile. Stessa cosa per la questione dentro o fuori dal convento, in Romania o in Germania: in fondo le preme solo di riprendere la relazione, e non vuole demordere finché non ha ottenuto ciò che vuole. Siccome l'ostacolo sembra essere il convento con le monache e il padre, li odia, e odia persino Dio, perché ritiene che le abbia portato via l'amata. E' gelosa persino che la ragazza preghi. L'impossibilità di realizzare il suo desiderio la riempie di rabbia e insofferenza. Questa rabbia e l'odio per Dio la portano alla possessione diabolica, o alla pazzia secondo altre letture. Oppure tutto questo c'era già, e il male si è manifestato non appena è stata contrariata?
Non mi pare proprio che il regista presenti in una luce negativa il padre e le monache, nonostante le piccole ombre di cui parlavo. Commettono qualche errore, ma in fin dei conti tentano sinceramente di aiutare Alina. E' anche un fatto che la ragazza non è adatta alla vita del convento, perché priva di vocazione. In questa prospettiva, l'errore principale è secondo me lo stesso fatto di accoglierla in comunità. Nonostante il finale aperto, è facile aspettarsi che il padre e un paio di monache sarebbero finiti in galera, oltre allo stesso fatto della morte della ragazza. Benché tra mille dubbi, tutti hanno voluto il suo bene, ma hanno preso decisioni sbagliate; da qui la tragedia.
E' una pellicola tesa, aspra in certi passi, che oltre a presentare la sofferenza dei personaggi, lascia intravvedere un tessuto sociale disastrato, fatto di famiglie distrutte, figli disadattati e genitori suicidi o che abbandonano i figli. E' un film che "prende", nonostante l'assenza di un vero montaggio e uno stile originale. Le inquadrature sono a campo lungo o figura intera, e mancano del tutto i primi piani. Uno stile che da una parte denota uno sguardo da lontano, ma che pure suscita molta partecipazione. Che Mungiu continui su questa strada.
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