Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
L’innovazione, la grande sfida concettuale e linguistica di Oltre le colline risiede nella sua natura sfuggente e, spesso, contraddittoria. A fare da “sfondo”, nonostante le continue accomulazioni, è l’intrinseca rassegnazione (o disillusione) al quale Mungiu consegna il genere umano tutto, sfiorando, a volte, addirittura il cinismo di un cinema così lontano dal suo come quello dei fratelli Coen – pensiamo al finale del film, per certi aspetti affiancabile all’apocalittico Fargo, pur con tutte le riserve del caso. Le “contraddizioni” del film di Mungiu sono necessarie per realizzare un’opera fuori dagli schemi, che sembra ricollegarsi a certo cinema contemporaneo (neo-bressoniano, neo-dreyeriano), per poi intraprendere una strada profondamente nuova. La messa in scena, prima di tutto, è solo illusoriamente “realistica” e “naturale”. Piuttosto, nulla è improvvisato – un po’ come accade nel cinema dei fratelli Dardenne. Mungiu riesce però a scavalcare lo schematismo delle parabole dardenniane, optando per un film senza risposte, senza redenzioni, solo colmo di dolore. Ciò si ricollega alla visione del mondo di Mungiu, lucida e spietata. Istituzioni e religione, medici e poliziotti, suore e monaci, sono figure ormai vuote, intrappolate chi nel fanatismo, chi nell’accidia e nell’indifferenza del proprio lavoro. Nel descriverle, Mungiu si avvicina, a volte, addirittura alla caricatura, creando quindi una “contraddizione” stilistica rispetto alle riprese dallo stampo neorealista, e creando un’opera, come già anticipato, tutta giocata sull’ambiguità. Viceversa, in molte recensioni si è parlato di questo "realismo" della messa in scena, contrapposto all’eccessiva stilizzazione, all’esasperazione pesantemente marcata di Alina durante le sue crisi nel monastero. È invece, per chi scrive, l’amore disperato della ragazza per Voichita il punto più “vero” e meno stilizzato del film. La disperazione (abnorme) di Alina è il terrore dell’horror vacui, del non possedere nient’altro se non l’affetto di chi si ama. In un mondo “automatizzato” e caricaturale come quello descritto di Mungiu – che, trasfigurandolo kafkianamente, ne coglie ancor di più il senso tragico -, l’unico cenno di verità è quello di Alina, che si concede completamente a Voichita – un legame totale, fassbinderiano -, fino alla morte. Le sue urla, che squarciano il silenzio del monastero, sono ciò che c’è di più vero, di ancora vivo, nel mortifero mondo di Oltre le colline. Il resto è inganno. L’inganno della famiglia, l’inganno della religione, l’inganno stesso della messa in scena. E del cinema.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta