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Oltre le colline

Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film

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La recensione su Oltre le colline

di alan smithee
10 stelle

Una stradina contorta che percorre una valle candida, dopo che uno strato di neve fresca ha ammantato il circondario; un fuoristrada che accosta e domanda ad una suora schiva dove si trova un terreno in vendita: “Oltre le colline” è la risposta titubante ed evasiva della giovane. Perché è solo laggiù che ricomincia il mondo, quello regolato dai negozi giuridici, dalle leggi ufficiali, inflessibili, burocratiche in cui la tolleranza ed il mutuo soccorso, fisico e dell’anima, non fanno piu’ di tanto parte dell’intervento previsto per soccorrere, accudire e trovare soluzioni a problematiche interiori, più intime di un qualsiasi malessere fisico. Laddove lo stesso ospedale si arrende a trovare soluzioni concrete per guarire malanni che non riescono ad essere diagnosticati e sono origine di tutta la sconcertante vicenda che porta avanti questo riuscitissimo dramma rumeno della solitudine; in un mondo - quello civilizzato - ispirato alle regole occidentali ormai condivise o alle quali allinearsi per non rimanere isolati; una società ispirata a dettami e procedure burocratiche e materiali, guidata da regole ispirate certo da  comune buon senso e da una laica organizzazione degli organismi di sicurezza e tutela pubblica,  che tuttavia spesso si scontrano con i dogmi e le regole di vita di un convento sperduto ai confini di un mondo che rifiuta le leggi del benessere materiale e il raggiungimento di effimeri, incosistenti traguardi terreni.

Aspettavo al varco un regista importante ma ancora così nuovo come Mungiu, che ho amato incondizionatamente col suo emotivamente dirompente e premiatissimo esordio di “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” ed il cui episodio successivo, contenuto in quella manciata di “Racconti dell’età dell’oro” (pellicola collettiva dei migliori registi rumeni oggi in attività, purtroppo mozzata immotivatamente di almeno due episodi dall’incauta ed irrispettosa ghigliottina della distribuzione italiana) non mi e’ stato sufficiente per suffragare e confermare il mio entusiasmo per unautore e per un cinema rumeno che mi piace moltissimo (mi ricorda molto lo stile realista forte, schietto ed ossessivo del cinema iraniano) e che cerco di seguire più che posso.

Entusiasmo ed emozione che ho invece provato durante tutta la visione di questa lunga storia sconcertante, controversa, ossessiva, che si arrischia a sgiorare i sentieri ancor oggi molto battuti da un filone molto, troppo commerciale di molto cinema di genere, spesso americano o comunque occidentale, che ama percorrere misteri e turbolenze dell’anima umana in seguito a possessioni da parte di entità maligne e demoniache.

La forza di Mungiu è innanzi tutto rappresentata dall’orgoglio e dall’ostinazione nel seguire un linguaggio ed uno stile che fanno del rigore della messa in scena una scelta narrativa inconsueta per le tematiche affrontate ma senz’altro vincente ed insolita; e ancora il coraggio di mantenere questo stile anti-spettacolare davvero singolare se si pensa a tutto il filone americano in tema di possessioni che riempie anche ultimamente gli schermi ed in genere il mercato con horror esoterici sempre più sorprendenti visivamente, ma anche sempre così uguali a loro stessi, cloni di un mondo di immagini che crede di stupirci con l’orrore mostrato e dimostrato ed invece non fa che ripetersi sempre più stancamente con situazioni ormai prevedibili anche dagli animi meno smaliziati.

L’eccezionalità del film di Mungiu, e vero valore del cinema rumeno di oggi e forse di sempre, è quella di riuscire a raccontarci una vicenda forte, controversa e misteriosa rinunciando ad ogni esibizione o effetto e proprio per questo rendendo tutto più terrificante e vero.

Il fulcro di una vicenda oscura tratta da un episodio realmente accaduto, è incentrato sul tentativo coraggioso e compassionevole di una umile comunità religiosa di prendersi cura di una giovane orfana, da tempo emigrata in Germania, che torna nei territori natii per ritrovare, in un umile convento ai margini della civiltà, la sua unica carissima compagna d’infanzia, con la quale ha condiviso gli anni non facili della permanenza in orfanotrofio e nei confronti della quale nutre una passione che va ben oltre un naturale rapporto di amicizia e confidenza. Sola e senza nessun legame, nemmeno nei confronti di un fratello ritardato che non può certo rassicurarla o darle speranze di riscatto, la giovane si persuade ad entrare pure lei in convento nonostante l’assenza di quella fede che illumina la compagna; la ragazza prova ad abituarsi alle regole rigide di una vita umile e di sacrifici, ma molto presto le sue reazioni improvvise e violente la renderanno ostaggio di uno stato vegetativo alternato ad episodi violenti che persuaderanno la comunità a ritenerla posseduta, convincendosi pure, nella drammaticità ed urgenza della situazione, divenuta presto incontenibile, a risolvere con un rituale di fede e una pratica di esorcismo improvvisata, una furia innaturale e soprattutto immotivata.

E quando lo Stato si tira indietro di fronte all’inesplicabile, quando l’esperienza medica sembra annaspare, sarà il lato umano e caritatevole di una comunità a trovarsi costretto ad intervenire, in nome di quella carità e amore verso il prossimo che non possono rimanere una preghiera ma devono concretizzarsi in un soccorso effettivo, anche a costo di  pagare a caro prezzo un’azione forse troppo poco meditata, improvvisata e talvolta sconsiderata, ma organizzata in buona fede e per  la salvaguardia ed il soccorso di un’anima persa.

Teaser poster (Francia)

Oltre le colline (2012): Teaser poster (Francia)

La forza del film bellissimo, stordente e puro, sta soprattutto nel non voler prendere nessuna difesa, né tantomeno muovere alcuna accusa su azioni od omissioni. Ognuno di coloro che intervengono a salvaguardia di una tragedia interiore, sbaglia non per negligenza, ma per troppi scrupoli di coscienza da una parte o per diagnosi affrettate dovute ad una cronica mancanza di mezzi dall’altra: sbaglia il medico a rifiutare il ricovero prolungato nella sua fatiscente struttura; sbaglia il medico dell’obitorio, freddo e cinico come l’ambiente che la circonda, nel catalogare il decesso come l’ennesima tragedia della follia mistica degenerata da un intervento mosso invece da intenti di genuina solidarietà e soccorso. E sbaglia infine il “papà” della comunità, persona severa ed integerrima che però non se la sente di abbandonare una persona bisognosa di soccorso, anche a scapito delle sorti del suo circoscritto microcosmo “al di là delle colline”.

Il film di Mungiu è un’opera forte, che si presta a polemiche e discussioni e che tuttavia è passata un po’ in sordina, come fatto notare giustamente da qualche altro collega recensore in questo sito e nonostante i riconoscimenti “di consolazione” che lo hanno reso il film più premiato all’ultima edizione “cannese”, dove partecipava in concorso. Ma se ha un senso premiare una sceneggiatura quasi rivoluzionaria, che stravolge le regole del film d’orrore e accumula, con uno stile che per certi versi ricorda le tensioni isteriche dei capolavori bergmaniani o il rigore dell’osservanza religiosa in Dreyer, una tensione che si fa forza sugli eventi narrati più che sull’esteriorità ormai banale e facile della rappresentazione gore con contorcimenti coreografici da cinema nipponico/coreano - meno senso ha attribuire un premio “risarcimento” alle pur brave due attrici protagoniste. Un accorgimento che vorrebbe giustificare una mancata Palma d’oro assegnata a quell’Amour che, invece, avrebbe meritato più coerentemente il premio ai due fantastici interpreti.

Nel magnifico finale vediamo molti dei protagonisti ammassati e rassegnati su un auto della polizia, mentre un ispettore cerca di condurli presso il pubblico ministero che dovrà procedere a giudicarli: sarà un giudizio molto terreno, colmo di pregiudizi, e che tuttavia si farà attendere, mentre attorno la vita continua a scorrere imperterrita: la vediamo scivolare via nella sua normale quotidianità attraverso i vetri sporchi del finestrino, nel sottofondo di lavori stradali in corso. In quel momento un autobus supera la vettura in sosta e offusca per un attimo di un liquido fuligginoso tutta la visuale, lasciando per un attimo loro e tutti noi spettatori in un limbo sospeso: poi il tergicristallo toglie via lo sporco e tutto riprende come prima, nella sua tranquilla, placida ma non certo rassicurante quotidianità.

 

 

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