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Quelques heures de printemps

Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film

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La recensione su Quelques heures de printemps

di OGM
8 stelle

In Italia ne hanno parlato i film Exit e Miele. L’argomento è uno di quelli dei quali si vorrebbe sapere di più, ma che sono difficili da trattare, indagare, discutere. Perché si può provare pudore a manifestare la propria curiosità per una questione tanto delicata, comprensibilmente circondata dal silenzio, e legittimamente confinata nella sfera delle scelte strettamente personali. Il suicidio assistito è un fenomeno ormai istituzionalizzato, in varie parti d’Europa, e che preme per essere moralmente riconosciuto e ufficialmente legalizzato in molti altri Paesi occidentali. Ma il problema non si può ricondurre, semplicemente, ai suoi risvolti politici o ideologici. Perché ogni  singolo caso è il frammento, irripetibile, di un percorso esistenziale, impossibile da incasellare in un anonimo quadro normativo. Il “servizio” offerto da certe cliniche private svizzere è solo un irrilevante dettaglio pratico in una vicenda che nasce “dentro” l’anima del diretto interessato, della sua famiglia, dei suoi ricordi, del suo rapporto con la propria vita e con il proprio male. È il tracciato di un abbandono, graduale, combattuto, meditato, sofferto, rinviato al momento giusto mentre, nell’attesa, si fa largo l’ansia della fine, della separazione definitiva dal mondo e dagli affetti di sempre, ma non per questo vengono meno le consuete preoccupazioni per le vicissitudini quotidiane.  Yvette è un’anziana vedova, affetta da una forma terminale di tumore al cervello. Un melanoma mal curato, col tempo, ha prodotto metastasi contro le quali i farmaci sono ormai divenuti inefficaci. Nessuno, però, guardando quella donna, potrebbe accorgersi delle sue condizioni di salute. Nulla è cambiato, nel suo aspetto e nelle sue abitudini. È attiva come sempre, con un occhio rivolto nostalgicamente al passato ed uno che punta con timore al futuro: è un atteggiamento normale, alla sua età, soprattutto quando si ha un figlio che è rimasta l’unica persona cara: un uomo che ieri era solo un bambino, e adesso è un cinquantenne appena uscito dal carcere dopo aver scontato una condanna per contrabbando. Per lei è naturale arrabbiarsi con lui, che non fa nulla per ricostruirsi una posizione, che appare distante ed apatico, e sembra del tutto insensibile al dramma che si sta consumando.  Per Alain il tempo si è come fermato, si è spento il desiderio di amare, di lavorare, di andare avanti. Yvette, in realtà, non ha bisogno di nulla, sul piano emotivo o materiale, eppure non può fare a meno di sentirlo vicino, perché lasciarlo in balia di stesso è un’idea che le mette tanta paura. Il suo terrore è provocato  dal pensiero del vuoto che rimarrà, intorno a lui, nel momento in cui lei se ne sarà andata. Sull’animo di Alain, il senso di colpa e gli strascichi della reclusione pesano come macigni, bloccandolo in uno stato di indeterminatezza, in cui non riesce a darsi un’identità. Ciò che si è appena lasciato alle spalle deve essere cancellato, ma d’altra parte non è chiaro cosa lo possa sostituire, per fungere da base ad un nuovo progetto. La sua fugace relazione con la giovane Clémence, frutto di un incontro occasionale, è una breve parentesi che si apre per caso e si chiude quasi subito, senza alcun entusiasmo. La sua vecchia amicizia con Monsieur Lalouette, per contro, è un rifugio senza storia, un luogo alternativo in cui sfuggire ad una realtà che gli impone sfide insopportabili, dalla ricerca di un impiego all’accettazione della situazione della madre. Alain preferisce rintanarsi nell’indifferenza del suo io stanco, a fronte di un insieme di eventi, domestici e mondiali, nei quali non si sente in grado di poter intervenire. Lui e Yvette non scambiano che poche parole, mentre sul teleschermo scorrono le immagini di un quiz, di gente che si diverte, che di loro non sa nulla, che non può partecipare al loro infinito dolore. Forse in certe circostanze si tace soprattutto perché si è certi di non poter essere capiti. È l’incomunicabilità della sofferenza, uno stato d’animo che deriva dalla somma di tante esperienze individuali, ed è dunque troppo complesso per essere raccontato e condiviso. Ciò che si coglie in superficie è soltanto una durezza che, malgrado tutto, sopravvive allo scorrere del tempo, e all’avanzare dell’angoscia per quell’abisso che,  molto prima di inghiottire il corpo di una persona, comincia ad allungare, intorno alla sua presenza,  l’ombra gelida della mancanza di senso. Quelques heures de printemps  è un film terribile nella sua esilità stilistica, macabro nella sua tenuità espressiva. È il dipinto acquoso di un paesaggio tiepido e incolore, come una primavera senza fiori. Il quadro di una mezza stagione spazzata dal vento, che prepara, alla riflessione, un deserto in cui il giudizio, disorientato e sgomento, si perde e rinuncia a cercare. 

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