Regia di Franklin J. Schaffner vedi scheda film
Schaffner è un regista che generalmente non viene preso in considerazione quando si parla della categoria degli Autori cinematografici. È infatti innegabile che, pur avendo apposto la firma ad alcune prove di ottimo livello, si è troppo spesso limitato ad eseguire copioni altrui. Eppure, tra le ottime prove che ricordavo, vi sono un paio di lavori che non mancano mai nei repertori dei film dei rispettivi generi. Il momento d'oro di Schaffner è a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, quando realizza le sue opere più significative, ovvero Il pianeta delle scimmie (1968) e questo Patton, generale d'acciaio (1970). Questo è il monumentale (sia per la durata che per l'interpretazione di George C. Scott) racconto degli ultimi tre anni di guerra e di vita del generale americano George Patton, un uomo per il quale la vita e la guerra sostanzialmente coincidevano. Tanto è vero che nel film un ufficiale della Wehrmacht (l'unico che sembra capirlo) afferma che Patton può esistere solo finché dura la guerra e, per verificare quanto fosse azzeccata questa considerazione, basta guardare l'anno di decesso del generale d'acciaio: il 1945. Patton morì a soli 60 anni, anche se pareva un vecchio, come testimonia il trucco cui si sottopone il formidabile mattatore Scott, giustamente premiato con l'Oscar. Sboccato, manesco, provocatorio, offensivo, Patton non ebbe vita facile con superiori e colleghi (provocò addirittura un incidente diplomatico con l'URSS, allora alleata) né fu amato dai suoi soldati, dai quali preferiva piuttosto essere temuto. Patton odiava i vigliacchi, che riteneva si nascondessero dietro alle malattie nervose ed arrivò a schiaffeggiare un soldato semplice, ricoverato in ospedale con i nervi scossi. Patton era un uomo leale, anche se la sua mania di protagonismo e la sua rivalità con il collega inglese Montgomery costarono la vita a molti soldati. Ma molto più grandi furono le perdite inflitte ai nemici. La filosofia di questo generale a tre stelle, che fu sicuramente tra quelli che vinsero la guerra, è esposta in un clamoroso prologo, nel quale Patton si presenta davanti all'uditorio con elmetto e pantaloni alla zuava. Schaffner ce lo presenta imbevuto di letture classiche, emulo di Alcibiade, Alessandro, Scipione e Giulio Cesare, ma, per quel suo essere un uomo fuori dal suo tempo, anche come un Don chisciotte del ventesimo secolo.
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