Regia di Guillaume Nicloux vedi scheda film
Crede, Suzanne Simonin, ma non ha vocazione. Eppure, figlia della colpa di una moglie fedifraga, viene costretta, contro volontà, alla vita monacale. Occhio non vede, cuore non duole. Intanto lei, Suzanne, subisce: prima invidiata e poi umiliata, viene aggredita, torturata. Il convento finisce per essere una prigione, le sorelle secondini, boia, aguzzini. Ma Suzanne resiste. E continua a credere, in Dio e nel libero arbitrio. Tratto da un classico illuminista di Diderot, il film di Nicloux è oggetto sghembo, straniante, caratteristica ricorrente nel cinema di un regista inquieto, che pare accompagnare le sue opere verso i paradossi dell’immaginario contemporaneo, anche quelli più deteriori: s’affida in primis alla grazia luministica di Yves Cape, disegna quadri d’amore naturalistico per gli interni e i riti del convento, guarda al rigore della parabola giansenista di Rivette (che aveva girato una versione asfissiante, astratta del romanzo), ma poi lascia che la sobrietà del film si inclini verso il cinema di genere (il segmento governato dalla madre superiora Louise Bourgoin è più prossimo a un torture porn che all’elegante malizia sadica di un Borowczyk) e degeneri nella farsa (quando è Isabelle Huppert a comandare, goffa madre ninfomane). Ed è proprio questa rappresentazione degradante dell’istituzione religiosa, che da conforme si fa incubo e poi satira allucinata, il vero movente del film, questa la sua beffarda attualità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta