Regia di Guillaume Nicloux vedi scheda film
Ci sono luoghi appartati in cui tutto è vietato, eppure tutto è lecito, perché ciò che vi accade è coperto da un impenetrabile segreto. Dentro le mura di un convento il mondo non entra, se non per ribadire l’inviolabilità di quel posto, sottratto al giudizio terreno. È il nascondiglio ideale per chi vi si rifugia, e la prigione perfetta per chi vi viene rinchiuso. Questa è l’idea che la fantasia letteraria ha sempre cercato di avvalorare, mostrando, allo stesso tempo, come l’eroismo (o la spudoratezza) di singole vittime di quell’ipocrita senso del sacro possa riuscire a fare breccia in un sistema disumanamente integralista. Suzanne impiega la fase più delicata della giovinezza ad uscire dall’incubo. Una ragazza monacata per forza, per volere dei genitori, trascorre in convento i mesi più dolorosi della sua vita. Il suo coraggio di ribellarsi ad una condizione ingiustamente imposta si scontra ripetutamente con le pressioni esercitate da un contesto sociale che a lei chiede soltanto obbedienza, e punisce severamente ogni trasgressione. Il romanzo settecentesco di Denis Diderot descrive la sua battaglia, una rivolta repressa con pratiche umilianti, che è, nel contempo, una disperata fuga attraverso una realtà ostile nella quale non esiste scampo, né in seno alla famiglia, né presso le istituzioni ecclesiastiche. Il classico binomio di casa e chiesa si traduce qui nei due poli di un circuito infernale, uniti da un accordo di reciproca sottomissione, tra due servi padroni che solo così possono assicurarsi un potere assoluto sugli individui che non godono di piena indipendenza. Suzanne è intellettualmente autonoma, ed è guidata da una solida coscienza morale, ma pur potendo pensare con la propria testa, vede le proprie iniziative ostacolate da un sistema che pretende di programmare la sua esistenza in funzione della propria sopravvivenza. La mentalità feudale è dura a morire. Patrigni, sacerdoti e madri badesse, un po’ tutti tengono a mantenere inalterata la propria posizione di predominio su quella piccola fetta di umanità che cade sotto la loro giurisdizione.: un territorio in cui regna la loro piena libertà di decidere per sé e per gli altri, secondo le proprie egocentriche interpretazioni del concetto di comunità. Il film di Guillaume Nicloux affronta l’argomento con un realismo appassionato in cui tutti i personaggi, buoni e cattivi, vivono la storia con la medesima intensità: le rispettive trepidazioni si specchiano l’una nell’altra, come se, a dispetto delle gerarchie, fossero poste sullo stesso piano, rivolte ad un’unica, indefinita autorità superiore a cui devono rendere conto comunque, e in uguale misura, senza alcuna distinzione di ruolo. Ciò che le sovrasta è un’entità priva di nome, a cui è possibile attribuire diverse valenze (politica, economica, sociale, religiosa), ma che, in ogni caso, è contraria alla ragione. I suoi principi si definiscono entro normative provenienti dalla tradizione ed impermeabili all’approccio critico del secolo dei lumi. Suzanne rimane impigliata in un intreccio di cecità, che restano saldamente ancorate alle regole prestabilite ed universalmente condivise, ed attingono alla individualità soltanto lo spunto per rivedere quelle prescrizioni secondo le esigenze dell’istinto. Al centro della tempesta c’è lei, la religiosa, apostolo di una fede che è il lato soleggiato di tutte quelle categorie che nella sua epoca – come ancor oggi – mirano a classificare la persona dall’esterno, incuranti dello spirito che nasce da dentro per creare il nuovo.
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