Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Nei sobborghi di Seul la manodopera operaia si indebita con interessi del mille per mille. Se non paghi viene mutilato sul tuo stesso strumento di lavoro, presse dalla funzione ghigliottinesca. La prima scena è un ragazzo che si impicca con un sistema di catene intrecciate. La morte a lavoro, la morte come unico orizzonte per sfuggire ad uno spietato esattore. Kan-do porta i debitori allo storpio perché così le assicurazioni possono assolvere al debito. Una caterva di invalidi e di derelitti umani condannati ad una esistenza infelice. Non lo è da meno il protagonista: vive solo senza affetti, si ciba degli animali che riscatta dalle famiglie che non hanno più niente da dargli. Una strana donna comincia a perseguitarlo, dice di essere la madre che lo abbandonò appena nato. Dapprima respingente e violento Kan-do cede alla gentilezza e bontà di Mi-seon ma è soltanto uno stratagemma di vendetta.
“Pietà” è una lunga via crucis post-moderna in cui in assenza totale di dio e umanità non resta che morire. Parabola ferale che si sviluppa su tre piani, il primo è un quadro socio-esistenziale di una non comunità (un aggregato di individui) desolata di esseri umani stritolati dalle tragiche conseguenze del capitalismo. Se hai soldi vai avanti, altrimenti sei destinato all’infelicità eterna e solo nella morte (si ribadisce) c’è consolazione. Lo scenario urbano e sub-urbano rende ancora più implacabile la vicenda: luoghi disumanizzati, da bomba atomica sociale.
Gli altri due sono dati dall’evolversi del rapporto instauratosi tra i due protagonisti: la violenza viene placata dall’amore, a Kan-do basta un barlume di affetto per trovare una via d’uscita alla sua condizione; lei la “madre” squarcia il cuore del “figlio”, lo conduce verso il pentimento. La vendetta è un sentimento da coltivare con metodo. Un metodo per insinuare il dubbio sul proprio operato. Infine, l’ultimo piano è la poesia di un albero da piantare e annaffiare come simbolo di rinascita dove tutto intorno è arido, e un pullover da seppellire con un giovane figlio. Con quello indosso sentirà meno freddo sottoterra. Consumato il dolore e constatata la propria sconfitta a Kan-do non rimane che compiere un ultimo viaggio, l’estremo sacrificio.
La ferocia, la lucidità, il rigore e la poesia di Kim Ki-duk sono la cifra essenziale e definitiva del grande autore coreano. In “Pietà” questi elementi uniti ad un misticismo laico sprigionano uno dei capolavori degli anni dieci.
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