Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
«Ora non sei più solo.» La frase con cui si conclude l'ultimo film di Kim Ki-duk è un pugno al cuore. Un sublime finale, dove avviene il sacrificio massimo dei personaggi, in un'atmosfera dai connotati fortemente dostoevkijani. Eppure, per chi scrive, non basta l'eccelso finale - dove Kim (ri)trova il proprio dolente, doloroso tocco - a riabilitare la sterilità dell'intera pellicola.
L'approssimazione con cui il regista coreano delinea i proprio personaggi è la causa primaria della poca empatia che si prova per essi. Pur cercando di stimolare attivamente le emozioni dello spettatore - pensiamo agli zoom che si "lanciano" contro i personaggi, nei momenti di massima tensione -, il film, spesso, ottiene il risultato contrario. E la poca empatia, il poco coinvolgimento mettono immediatamente in luce la meccanicità della parabola kimmiana, fredda e sbrigativa.
Non aiuta di certo il terribile doppiaggio che, come al solito, viene riservato alle pellicole orientali (sarà mica un tentativo di embargo contro la fruizione di questi film?). Né, tantomeno, la monocromia avvilente, che ci fa rimpiangere la magnificenza delle altre pellicole di questo regista-pittore.
Pietà di Kim Ki-duk, purtroppo, non è più quel cinema di «uomini alla deriva» che il talentuoso regista ci aveva fatto conoscere: piuttosto, un cinema di «segni» alla deriva.
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