Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Primo film post-crisi (vera o costruita e documentata abilmente nel precedente Arirang, probabilmente non lo sapremo mai) per il celebre regista sud-coreano Kim Ki-duk, che torna dopo alcune opere complessivamente meno riuscite (Soffio, Time), allo stile placidamente sanguigno e coreograficamente violento dei primi interessanti lungometraggi (A-go, L'isola, Bad Guy), fino al piu' famoso (e riuscito) Ferro 3.
Nel mezzo di una metropoli anonima, degradata, immersa in un pullulare di attivita' manifatturiere che si sviluppano in laboratori artigianali quasi improvvisati tra catene di montaggio ed ingranaggi meccanici, seguiamo le azioni efferate di uno strozzino solo al mondo che si e' inventato il sistema di far stipulare ai suoi debitori una polizza infortuni sul lavoro per ricorrere ad una simulazione di incidente nel caso questi ultimi non provvedano ad onorare i propri impegni. Cosi' facendo lo scellerato riesce pertanto ad intascare quanto dovuto dai disgraziati paganti morosi mediante il ricorso al risarcimento assicurativo fasullo, basato su disgrazie non occorse ma procurate volontariamente e sadicamente.
Le vittime di queste spietate esecuzioni (mutilazioni, simulazioni di incidenti di lavoro di vario genere) sono ormai molte e Kang-do, questo il nome del protagonista, sembra non conoscere misericordia, almeno fin quando un giorno una donna ancora giovane si presenta alla sua porta come la madre che egli non ha mai potuto conoscere sin dalla tenera infanzia, abbandonato in fasce.
E quando la diffidenza lascia il posto al sentimento, l'attaccamento a quella donna misteriosa diventa totalizzante e indispensabile da parte dell'aguzzino, che utilizza inconsciamente la circostanza per ritrovare quell'equilibrio perduto da sempre.
Il film, fresco Leone D'oro veneziano, in fondo meritato e visivamente molto bello e impressionante, sorprende per la sicurezza magistrale di inquadrature che riescono ancora a meravigliare, come quando il regista si sofferma sui bei volti dei due protagonisti con primi piani che ne tagliano i contorni complessivi per concentrarsi su un singolo aspetto di uno sguardo intenso e concentrato che valorizza il bel viso dei due ottimi attori protagonisti. Pieta' e' un sentimento invocato dalle vittime, piu' che concesso dallo spietato protagonista e il film vira ad un certo punto su una soluzione che non sorprende piu' di tanto se si torna alla prima drammatica scena, ma che spiazza e stupisce per originalita', se attribuita a questo celebre regista coreano, di per se' non molto avvezzo ai colpi di scena o alle svolte da thriller.
Pieta' e' dunque un primo importante tassello di quella che il regista intende far passare per una rinascita artistica ma non solo, il ritorno ad uno stile che non si fa scrupolo di mostrare ed esaltare la fragilita' e la frammentarieta' di tutto cio' che e' vivente, uomo, animale o vegetale che sia e come tale soggetto alle incognite di un'esistenza che viene spesso piegata o condizionata da azioni o comportamenti altrui che ne compromettono definitivamente la purezza, la perfezione, lo sviluppo.
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