Regia di Massimo D'Orzi vedi scheda film
Per arrivare a Sàmara non servono soldi. Lì non ci sono porte e il clima è dolce, le donne sono sbracciate e i bambini ti corrono incontro. Sàmara è un luogo mitico, pur di arrivarci, Luis il saltimbanco (Filippo Trojano) è disposto ad attraversare da solo il bosco... Alla sua prima opera di finzione, Massimo D’orzi (già regista dei documentari Ombre di luce, Adisa o la storia dei mille anni e Ribelli) sceglie di puntare i riflettori su questo viaggio, percorso - umano e artistico - che si sviluppa attraverso una trama esilissima, per accumulo e per metafora. Dietro ogni simbolo, dietro Luis, c’è un discorso sull’arte che pare coinvolgere direttamente l’autore. Sàmara è un’illusione, punto d’arrivo di un artista che si scherma dietro la propria creazione per non entrare nel mondo. L’artista che rischia di perdere il contatto con la realtà, qui incarnata dall’incontro con la ballerina Rosita e il piccolo Morito. Per attraversare il proprio bosco, Massimo D’orzi sceglie la strada impervia dell’antinarrazione, abbraccia lunghi silenzi e si nutre di monologhi, offerti allo spettatore come fossero enigmi. Sàmara, per quanto splendidamente fotografata e ottimamente musicata, resta opera inaccessibile, troppo ripiegata su se stessa. Il finale però ci fa sperare, ponte ideale per lo stesso D’orzi verso opere future capaci di dialogare maggiormente con il reale. Come per Luis, ci auguriamo, l’inizio di un nuovo viaggio
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