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Zero Dark Thirty

Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film

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La recensione su Zero Dark Thirty

di FilmTv Rivista
8 stelle

Il film più controverso dell’anno negli Stati Uniti è anche un caso politico. Zero Dark Thirty racconta la caccia all’uomo più imponente del secolo come fosse la “recherche” di una Nazione. Costretta a guardare dentro se stessa, l’America scopre di essere capace delle cose peggiori per raggiungere il proprio scopo. Scopo che coincide con la rivendicazione di un ruolo (“paladina della democrazia”) e di una identità: valori, credenze, rancori, vendette di una comunità che si radicalizza se minacciata, e per questo persegue ogni minaccia in modo spettacolare. A colpire non sono le sequenze di tortura dei prigionieri di Al Qaeda, veri o presunti, ma la loro rappresentazione realistica. Il fatto che la regista, Kathryn Bigelow, non alluda ma chieda una identificazione totale con la protagonista Maya (Jessica Chastain). Analista della Cia in prima linea, fa dell’eliminazione di Osama bin Laden una missione quasi esistenziale. A inizio film, quando Jason Clarke sta per sottoporre l’uomo del “gruppo saudita” al waterboarding (lo si immobilizza a terra reggendo i piedi in alto e gli si versa abbondante acqua sulla faccia: l’effetto è quello dell’annegamento), le viene chiesto se vuole assistere all’interrogatorio da una Tv a circuito chiuso. Lei rifiuta, va dentro, partecipa. Maya, nessun cognome e passato incerto, è una versione moderna di Ethan Edwards, il John Wayne di Sentieri Selvaggi; lei sola attraversa il tempo e lo spazio sempre in scena, gli altri (a eccezione di Clarke, che però da operativo finisce in ufficio) sono intercambiabili e spariscono. Quando cercano di relegarla in un angolo (come nella sala delle riunioni) riattraversa la soglia e torna centrale. E alla fine, ucciso Osama, è sola in un aereo vuoto con la carlinga che si chiude. Ethan Edwards restava fuori, lei è all’interno. Per John Ford l’eroe della wilderness non trova spazio una volta ricomposta l’armonia e fondata la civitas: per Bigelow e Mark Boal, ex giornalista embedded autore della sceneggiatura, Maya è invece rappresentazione simbolica costante e inevitabile. Regia e montaggio sublimi per un film epocale.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 6 del 2013

Autore: Mauro Gervasini

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