Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
Schermo nero, le voci delle vittime dell’undici settembre 2001, attentato alle torri gemelle. Punto di partenza della caccia ad Osama Bin Laden. Prigioni segrete, torture nei confronti dei prigionieri islamici per ottenere informazioni. Nulla viene tenuto fuori campo, Kathryn Bigelow ci fa entrare nella realtà di quelle pratiche: waterboarding, umiliazioni fisiche e verbali, privazione del sonno e del cibo, immobilizzazione. La CIA crede in questi metodi, chi li applica sembra partecipare ad una sessione sadomaso, come fosse il master in un gioco tra adulti, solo che il sottomesso, in questa occasione, non è consenziente. E allora fuori dalle celle si parla, si scherza, si fuma una sigaretta. Perché il fine è quello che conta. Ottenere informazioni, catturare Bin Laden. E torturare fa parte del lavoro.
La narrazione procede per paragrafi distinti. L’azione adrenalinica e continua si svolge nelle strade, negli uffici, durante gli attentati terroristici. Si manifesta fisicamente nei corpi dei soldati, nella tecnologia militare e mediatica, il montaggio è il collante alla frammentazione della storia, dei luoghi, degli eventi. Come Maya (Jessica Chastain), asessuata agente della CIA, tenacemente attaccata al suo compito, al limite dell’ossessione, dell’identificazione esistenziale con il lavoro che deve svolgere. E’ lei infatti la figlia di puttana che scoprirà dove è nascosto Osama, collegando tra loro le confessioni dei torturati, dopo ore passate davanti ai filmati che riproducono le punizioni inflitte, in una sorta di videodrome investigativo.
Non c’è comprensione storica o analisi dei fatti accaduti, non c’è critica nei confronti degli Stati Uniti, quello che conta è il flusso costante dell’azione filmica che serve a creare significati ambigui e controversi, perché è la spinta dinamica e inarrestabile alla cattura del capo di Al-Qaeda a giustificare ogni possibile mezzo per trovarlo, in questa ottica la morale è subordinata allo spasmo adrenalinico della vittoria, del compimento della missione (come nel precedente The Hurt Locker ) e per questo si uccide, si corrompe, si compongono scenari contemporanei nel quale giocare alla guerra, perché il mondo diventa un’insieme, connesso tecnologicamente, di diversi quadri dove mettere in atto la visione militare della realtà, come nella sequenza dell’uccisione di Bin Laden, in cui ogni cosa viene percepita e vissuta dal punto di vista (alieno) dei soldati. Un’ultima strage a sangue freddo, compiuta nella totale indifferenza, la disumanizzazione è compiuta, rimangono le lacrime e il silenzio a testimonianza dell’eco di un dolore lontano, quasi dimenticato: la perdita della capacità di sentire l’altroè la sconfitta più grande.
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