Regia di Ji-yeong Jeong vedi scheda film
Kim Kyung-ho non si piega. E nemmeno si spezza, contrariamente alla freccia partita per errore dalla sua balestra, e finita contro il muro. Non è una storia di antichi guerrieri. Anche se racconta di una durissima battaglia, combattuta da un uomo solo contro poteri tanto più grandi di lui. Il regista coreano Chung Ji-young si ispira alla recente disavventura giudiziaria di un docente di matematica licenziato dalla sua università per regalarci un legal thriller tanto appassionato nelle implicazioni morali quanto feroce negli intenti polemici. Un saggio sulla (in)giustizia amministrata da un sistema in cui la corruzione investe, in ugual misura, le istituzioni pubbliche e private, dai centri di formazione alle aule dei tribunali. La cultura e la democrazia sono le antitesi di un meccanismo in cui il desiderio di mantenere un’immagine di forza da parte delle autorità costituite è di gran lunga prioritario rispetto al dovere di garantire al cittadino i servizi fondamentali. Questa stortura antilibertaria si nutre di paradossi e di falsificazioni che solo un uso scrupoloso della ragione ed un attento studio delle leggi scritti possono mettere in luce, e quindi contrastare con l’inoppugnabile potenza della logica. Il protagonista è uno scienziato, abituato a basare ogni deduzione sul rigore dimostrativo, che, in virtù della sua chiarezza e completezza, esclude ogni ambiguità o contraddizione. Il professore difende la sua causa impugnando il codice di procedura penale, facendo leva sulla memoria e sull’evidenza, per smascherare gli inganni delle prove contraffatte, delle testimonianze menzognere, delle dolose omissioni compiute dai magistrati giudicanti. La sua dialettica sopravanza ampiamente quella del suo giovane avvocato, altrettanto ribelle ma più impaurito, per aver a sua volta sperimentato, sulla propria pelle, quanto nel suo modernissimo Paese sia diffusa la violazione dei diritti umani. I principi della civiltà, scandalosamente calpestati con i fatti, possono essere fatti risorgere con le parole, perché così vuole il pensiero illuminista nelle sue radici cartesiane: ciò che può - e deve - essere unanimemente condiviso dalla società umana passa attraverso l’espressione linguistica, quella costruita secondo regole precise e universalmente condivise, che traduce in forma simbolica, visibile e comunicabile, il modus operandi della nostra mente. Forse le dispute sono passate di moda: almeno quelle che, non essendo a contenuto pubblicitario o propagandistico, non trovano posto nei rumorosi salotti dei talk show. Insieme ad esse, anche le perorazioni alla Perry Mason hanno fatto il loro tempo, perché le maglie della nostra percezione, ormai sfiancate da cotanto sgraziato martellamento mediatico, sono diventate troppo larghe per poter cogliere certe sottigliezze argomentative. Questo filmcerca di rieducarci iniziando dal basso, mettendo in scena l’effetto dirompente di poche, semplici osservazioni critiche. Unbowed si direbbe la lezione pilota – volutamente infarcita di didascalismo televisivo - di un corso mirante a rispolverare l’obsoleto valore dell’arguzia. E, magari, del coraggio necessario a esercitarla apertamente.
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